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Attivismo civico & Terzo settore

Il prezzo di lavorare nel non profit

Il nodo delle remunerazioni

di Valerio Melandri

Questa la scelta che offriamo alle giovani menti più brillanti, appassionate e creative, partorite dalle migliori università: realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni oppure contribuire a realizzare i sogni del mondo; l’una esclude l’altra. Questi giovani dovranno scegliere tra un futuro brillante e il desiderio di assistere le persone che ne hanno bisogno, tra il loro sogno per “gli altri” e il loro sogno per “se stessi”. Chiediamo loro di prendere una parte di sé e di metterne da parte un’altra. Ma come si può chiedere a una persona di mettere da parte le proprie aspirazioni personali? Quale grande sognatore sogna solo a metà? È evidente che molti neolaureati sono intimiditi dal gap esistente tra lo stipendio di base offerto dal settore non profit e quello delle imprese profit. In effetti, mediamente, il non profit paga, per un contratto di inserimento, il 30 o anche il 40% in meno.
In realtà non si tratta neanche di scegliere tra il proprio futuro e l’altruismo: è una scelta tra il proprio futuro e la frustrazione. A causa di questo sistema di cose, le aziende non profit dispongono di risorse e talenti limitati, con dei vincoli che non permettono loro di crescere e svilupparsi. Una cosa è certa: coloro che lavorano per le non profit e hanno sacrificato e dedicato la propria carriera ad aiutare gli altri, meritano di più!
A meno che non vogliamo imputare la scelta di giovani menti brillanti all’assenza totale di un desiderio di bontà e giustizia, che li spinga a lavorare per risolvere i problemi del mondo in un’azienda non profit (e sono certo che non sia così!), come possiamo giudicare degli studenti che hanno il desiderio di lavorare per aziende non profit ma che, di fronte alla scelta tra costruirsi un futuro radioso in un’impresa profit o fare del bene lavorando per un’azienda non profit, scelgono il profit?


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