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Economia & Impresa sociale 

Il sostegno che non c’

Docenti nominati in ritardo, insegnanti in sovrannumero promossi senza formazione, mentre quelli preparati vengono usati come baby sitter di classe.

di Redazione

S i fa presto a dire integrazione scolastica. Gli oltre 30 mila studenti disabili italiani non sanno ancora bene cosa essa sia. Nei giorni scorsi, su questo tema, alcune centinaia di insegnanti, esperti e familiari si sono ritrovati a discutere in un convegno promosso dalla casa editrice Erickson: hanno protestato e chiesto interventi urgenti. Un’associazione di auto-aiuto, “Lo specchio” di Ferrara, che riunisce genitori di ragazzi disabili, ci hanno scritto una lunga lettera rivolta al ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer e a quella della solidarietà Livia Turco. Noi l’abbiamo girata al sottosegretario alla Pubblica istruzione, Carla Rocchi, che ha deciso di rispondere loro attraverso “Vita”. Quello che vi proponiamo è un ping-pong a distanza tra le istanze dei genitori e le risposte dell’istituzione. I genitori ferraresi vanno subito al nocciolo della questione: «Di quale qualità parliamo quando l’anno scolastico inizia a metà settembre, mentre gli insegnanti di sostegno vengono nominati dai Provveditorati agli studi, quando va bene, soltanto entro fine ottobre?». E, ancora, «A che servono i certificati delle competenti Asl, le particolari richieste ed i progetti dei presidi per ottenere il massimo delle ore consentito per legge, quando poi i Provveditorati assegnano solo poche ore a tutti i ragazzi indistintamente, senza tenere conto dei loro specifici deficit? A cosa servono nove ore di sostegno la settimana di fronte ad un’attività scolastica della durata di 36/40?». Il sottosegretario Carla Rocchi risponde rendendo noto di aver inviato recentemente una circolare a tutti i Provveditori italiani: «Li abbiamo autorizzati ad aumentare le ore in tutti quei casi in cui sia necessario. Il problema è che non sempre parliamo di handicap: ci sono spesso situazioni in cui servirebbe l’assistente sociale o lo psicologo piuttosto che l’insegnante specializzato. Il sostegno è alla classe», conclude, «l’insegnante di sostegno è una figura che aiuta tutta la classe ad andare avanti: questo deve essere chiaro». I genitori de “Lo Specchio” insistono e ribattono: «Che significa allora parlare di “qualità dell’integrazione” quando gli insegnanti curriculari non si sentono coinvolti direttamente e interpretano la figura del sostegno come una “baby sitter” che può, all’occorrenza, allontanare, almeno per un po’ il “problema” dall’aula?» «Nessuno vuole gli insegnanti-balia», risponde la Rocchi, «chi entra in classe deve essere in grado di dar conto della propria scienza ma anche di fronteggiare il disagio eventualmente presente nei bambini. Se poi c’è un handicap sensoriale o motorio sarà necessario, in aggiunta, una figura con particolari specializzazioni. I docenti che entreranno nella scuola con i prossimi concorsi saranno formati così». Papà e mamme degli alunni disabili continuano la loro spietata analisi: «È forse qualità assegnare a queste ragazze e ragazzi degli “pseudo” insegnanti di sostegno, nominati tali solo perché hanno perso la cattedra in altre materia e sono privi di specializzazione, insegnanti mandati quindi solo per tappare provvisoriamente un buco?». La vice-ministro accusa il colpo: «Come in tutte la fasi di passaggio, gli errori sono possibili», ammette . «Permettere, come decise il Parlamento all’epoca del governo Dini, che gli insegnanti in sovrannumero diventassero insegnanti di sostegno, con poche ore di formazione, non fu certo un provvedimento giusto e intelligente». La Rocchi però ricorda che tutti devono fare la loro parte: «Gli enti locali, ad esempio. E i sindacati innanzitutto: gli insegnanti di sostegno hanno garanzie e facilitazioni per spostarsi, ma si dovrebbe garantire un minimo di continuità. Possiamo aumentare le ore quanto vogliamo ma a che serve se poi, nel giro di un anno, cambiano quattro volte?». I familiari concludono amaramente: «A cosa serve ai nostri figli il diritto all’innalzamento dell’età scolastica fino a diciotto anni e la possibilità di accedere ad ogni ordine di grado d’istruzione, anche universitario?». «Capisco il rammarico di queste persone» conclude la senatrice Rocchi, «ma se per riformare la scuola, dovessimo attendere di aver concluso felicemente tutti i passi precedenti, non procederemmo in nessuna direzione». •


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