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In galera la malattia è una condanna

di Ornella Favero

Se un detenuto muore in ospedale,  e magari in “sospensione pena” perché la sua condizione era ormai incompatibile con la galera, non risulterà nell’elenco delle morti in carcere. Eppure, in tante di queste morti il carcere c’entra eccome. Sabato 7 luglio, nell’ospedale di Padova è morto Vincenzo Boscarino. Aveva quarantaquattro anni, era figlio unico, accanto a lui ad assisterlo per mesi c’è stata instancabilmente sua madre, che per anni l’aveva incontrato arrivando da Milano nella sala colloqui della Casa di reclusione, e ora se lo ritrovava “libero”, ma distrutto nel fisico e spaventato da quello che gli stava succedendo.

Vincenzo si era accorto da tempo del suo anomalo e progressivo dimagrire, e si era anche rivolto ai medici del carcere lamentando forti dolori allo stomaco e non solo. Intanto i mesi passavano senza che ci fosse una diagnosi chiara, e Vincenzo aveva continuamente febbre e alla fine molte ghiandole si erano gonfiate grosse come delle noci. Altre visite mediche, altri farmaci, mentre lui peggiorava di girono in giorno: aveva ormai un colorito di un pallore anormale e gli occhi sempre più scavati.

Alla fine la diagnosi è arrivata. Scortato in ospedale, è bastata una visita per scoprire che quei grappoli di linfonodi gonfi erano l’effetto di una forma tumorale che si chiama linfoma non Hodgkin. Se si cercano notizie su questo linfoma, si legge ovunque che “negli ultimi anni il trattamento dei linfomi non Hodgkin ha fatto registrare enormi progressi, anche nei casi in cui il tumore si è diffuso dal sito primitivo, ed è in costante aumento il numero di malati che oggi possono guarire”. Può darsi che quello che ha aggredito Vincenzo sia stato un tumore più cattivo di altri, ma una cosa è certa: i tempi del carcere sono davvero incompatibili con i tempi della cura. Vincenzo ha avuto il destino di tanti detenuti malati: è stato “consegnato” agli specialisti quando ormai era troppo tardi.

La vera battaglia in carcere è quella per costringere tutti a fare più in fretta nella corsa contro la malattia, perché la malattia non si ferma ad aspettare i tempi della galera.


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