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Inghilterra, fare calcio in cooperativa

Una squadra in cui il totale delle reti segnate è distribuito su più giocatori, e non su uno o due cannonieri

di Daniele Scaglione

U na squadra in cui il totale delle reti segnate è distribuito su più giocatori, e non su uno o due cannonieri, viene chiamata ?cooperativa del gol?. E se fosse una buona idea? Non quella di mandare in pensione i centravanti come Toni, Lucarelli e Gilardino che vanno a segno decine di volte, ma quella di pensare che una squadra di calcio potrebbe anche essere gestita con la forma cooperativa. I vantaggi sarebbero evidenti. Innanzitutto le cooperative devono rispettare le leggi italiane, come ogni altra impresa, il che sarebbe un bel passo avanti per le nostre grandi società calcistiche. Le cooperative, poi, hanno l?obbligo della trasparenza e sono sottoposte a controlli periodici. Inoltre, nel mondo della cooperazione vige il principio della porta aperta: a chiunque deve essere consentito di farne parte, e questo potrebbe incentivare la partecipazione alla gestione dei club di tifosi, enti locali e tutti quelli che, per un motivo o per l?altro, a una certa squadra di calcio sono interessati. Ma mentre per lavorare in una cooperativa ordinaria non occorre diventarne soci, nella cooperativa-squadra di calcio ciò dovrebbe essere obbligatorio. Vuoi giocare in una squadra, entrare in campo con la sua maglia, guadagnare lo stipendio? D?accordo, ma in cambio diventi socio della cooperativa che la gestisce, partecipi alle assemblee, ti leggi i bilanci, ti informi su quello che succede. Non se ne può più di sentire giocatori che ripetono frasi tipo «io di questi scandali non so niente, io pensavo solo a fare bene il mio lavoro in campo». È vero che ai calciatori non si chiede la propensione alla speculazione intellettuale, ma un minimo interesse per come funziona il mondo in cui operano potrebbe essere utile a loro stessi, innanzitutto. Far funzionare le società di calcio come cooperative può sembrare un?idea bislacca, ma più o meno è quello che accade nel Barcellona, nel Real Madrid e nel Bayern di Monaco. E nel paese dove questo sport è nato, l?Inghilterra, esistono oltre novanta organismi di tifosi – spesso riuniti in forma cooperativa – coinvolti nel controllo di squadre come l?Arsenal (vedi box) e l?Aston Villa. Ma se volete prenderla come una proposta ridicola, benissimo, perché è di questo che il calcio italiano ha bisogno: che la smettiamo di prenderlo troppo sul serio. La vista di una maglia può far balzare il cuore – a me succede, almeno con quelle granata – ma non dovrebbe disattivare il cervello. In televisione proliferano personaggi che passano ore a dire ad alta voce varie banalità, che la sanno lunga eppure non si erano accorti delle varie truffe che si svolgevano sotto i loro occhi. Sia chiaro, questi ?esperti? non sono il male del calcio italiano, però sono una cartina al tornasole: se non siamo capaci di riconoscere i buffoni, figuriamoci se riusciamo a identificare i ladroni. Il modello Arsenal I tifosi nella governance della squadra: succede a Londra dove, dalla stagione 2001-2002 l?Arsenal riunisce, quattro volte l?anno, il forum dei supporter (costituito da 16 rappresentanti della tifoseria, per condividere con loro le scelte e gli impegni verso la comunità. A loro volta alcuni di questi club sono costituiti in cooperativa. La corporate governance dello squadrone inglese è riportata con trasparenza sul sito. Nello staff c?è anche un community manager, Alan Sefton. Info: www.arsenal.com


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