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Intervista a Giannini. Un giorno da down

Un grande successo per una sfida difficile. "Ho interpretato quel ruolo come se fosse una persona uguale alle altre", dice il protagonista di Ti voglio bene Eugenio.

di Antonio Autieri

A Hollywood è considerata la sfida che prima o poi ogni grande attore deve fare a se stesso: quella del malato, del pazzo, del disagiato mentale. Come il protagonista autistico di Rain Man interpretato da Dustin Hoffman, o il malato di encefalite letargica di Robert De Niro in Risvegli, o il prossimo Sean Penn, ritardato mentale in Mi chiamo Sam (in uscita a marzo). La risposta italiana è Giancarlo Giannini che in Ti voglio bene Eugenio interpreta un down, Eugenio appunto, che vive una vita tranquilla, apparentemente senza difficoltà. Abita in una grande villa, da solo; è autonomo; lavora come volontario in un centro traumatologico dove aiuta persone in difficoltà. Come sottolineato da più parti, Giannini è straordinario nella parte di Eugenio, ben aiutato da un trucco che ne ha agevolato la trasformazione fisica. E l?attore non ha fatto mistero di essere rimasto colpito dall?esperienza sul set, in particolare dal rapporto con il giovane Alfredo Scarlata, un vero down che interpreta Eugenio da adolescente. «Voglio ringraziare Alfredo», ha spesso ripetuto Giannini, «per avermi ricordato che la vita va amata comunque». Vita: Giannini, come si è preparato per questo ruolo? Conosceva persone down? Giancarlo Giannini: No, non ho conosciuto down, se non Alfredo Scarlata, e nemmeno ho avuto contatti con famiglie o associazioni o medici specializzati. Ho lavorato con la fantasia: anche perché, a parte un ottimo trucco che mi ha permesso di assomigliare a un down e di rappresentarne le difficoltà motorie e di fonazione, l?ho interpretato come se fosse una persona normale. L?idea era proprio quella di mostrare la normalità di un down, che può avere una vita simile a quella di tutti. Anzi, con qualità che spesso noi abbiamo perso, come sensibilità, grazia, ironia. Dal mio punto di vista d?attore, comunque, si è trattato di una sfida non soltanto ?tecnica? ma un cammino dentro una prospettiva: come appare il mondo esterno a chi ha rischiato di vedere negato il diritto a una esistenza personale? Quale peso assumono l?affettività e il buon senso in una condizione così? Vita: Ci vuole, allora, un?attenzione alla realtà per ?catturare? la verità di un ruolo così difficile? Giannini: Capita a tutti di osservare la realtà secondo tutte le sue forme: il fatto di soffermarsi con più o meno profondità è un altro discorso, che non riguarda l?attore ma l?uomo. Io non ho mai creduto a quello che dicono tanti attori, che per calarsi nella parte di un poliziotto si deve vivere in una caserma di polizia? forse lo fanno, ma incontrandoli ho l?impressione che si inventino tutto per far rimanere la gente a bocca aperta. Non dimentichiamo che l?attore è anche bugiardo. Se poi uno davvero segue forme imitative esasperate, diventa un grande imitatore, ma è un?altra cosa. Vita: Quindi nessuna ispirazione a film o attori del passato? Giannini: No, non mi sono ispirato a nessuno: ho seguito solo l?istinto, ritengo che l?attore debba curiosare nella sua fantasia e tirar fuori ciò che serve a descrivere il personaggio? deve operare la cosiddetta ?trasfigurazione della realtà?. Perché il cinema non è realtà, ma una finzione che diventa una proposta di realtà. Vita: Il film è stato apprezzato da associazioni di persone down: che ne pensa? Giannini: Fa piacere che un piccolo film abbia raccolto consensi significativi, anche da parte di studiosi di altissimo livello. Ma ancor più della reazione italiana, mi ha sorpreso la prima risposta americana, al festival di Palm Spring (dove Ti voglio bene Eugenio ha vinto il premio del pubblico, ndr), che mi ha fatto capire che avevamo realizzato un film toccante e divertente. Vita: Cosa ha imparato dal film? Giannini: L?idea che più o meno tutti abbiamo dei down è quasi sempre quella di giovani persone bloccate in una condizione: senza età, fissati in una immobilità espressiva che spaventa e allontana. Diventando Eugenio e conoscendo Alfredo Scarlata, ho scoperto che tutto questo è falso. Il down è una persona che ha diritto al suo percorso come tutte le altre. E che lo fa sino in fondo se è messo in condizione di farlo.


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