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Verso il G8: a Seattle si costruisce il futuro “senza fili”

Sono diversi e sempre più competitivi i progetti non profit legati alla Rete, che, grazie al volontariato di militanti, programmatori e semplici cittadini "globalizzano" i propri diritti

di Riccardo Bagnato

A Seattle, nella città da cui prende il nome il movimento antiglobalizzazione, un gruppo di amici ha implementato un progetto locale nella più sana tradizione “Think globally, act locally”: una rete locale “senza fili” con cui è possibile connettersi a Internet da qualsiasi luogo della città. Matt Wesferfeld e Steve Briggs, ingegneri entrambi, hanno così raccolto la sfida che il mondo open source ha lanciato alle multinazionli dell’ high-technology. “Dopo che la generazione precedente alla nostra ha creato il movimento del software libero, rimasto sconosciuto per molti anni ma che oggi risquote sempre più successo” afferma Matt Westerfeld “ora noi lanciamo il movimento della Rete libera e non a caso lo lanciamo da Seattle”. A Seattle si sta, infatti, costruendo la nuova Rete. Matt e il suo amico Steve, a partire dal settembre 2000 hanno iniziato a lavorare al loro sogno: realizzare una rete locale perfetta, libera, gratuita e aperta a tutti gli abitanti di Seattle che possiedono un computer. Una rete potente, in grado di trasferire agilmente anche file pesanti, e soprattutto una rete immateriale e onnipresente. A settembre iniziano a recrutare un po’ di volontari che credono all’impresa. Chiamano la rete Seattle Wireless, non vogliono né sponsor né finanziamenti. E rifiutano la filosofia delle start up. Fanno ricorso a tutti i software free e usano una frequenza – 2,4 GHz – che non è regolamentata dalle autorità federale. Le loro emissioni restano sotto la soglia della potenza di emissione di 1 watt. Quindi una rete selvaggia ma non illegale. Nel sistema immaginato da Matt un nodo comunica con i computer più vicini, creando così una mini rete. La scommessa più delicata è la sistemazione delle antenne, operata da una squadra di 80 volontari guidati da un ragazzo in grado di conoscere tutti i segreti topografici di Seattle, un ciclista. Le antenne vengono piazzate alle finestre degli appartamenti di chi aderisce al progetto e devono quindi dialogare tra di loro. Come sempre c’è una killer application che fa decollare questo tipo di imprese: in questo caso Matt ha potuto contare su alcuni gruppi di giovani, maniaci di videogiochi, che hanno visto nell’idea un’opportunità per poter giocare in rete. “Costruiamo una rete aperta, estensibile, che servirà a tutti. Confidiamo in tutti gli abitanti, negli artisti, negli uomini d’affari per inventare nuove modalità d’uso della Rete. Spesso siamo noi i primi a restarne sorpresi”, racconta Matt Westervelt. Il progetto si chiama “Seattle Wireless”, ovvero Seattle “senza fili” e dopo qualche mese non è più un caso isolato. Il problema delle infrastrutture Immaginate di non avere più bisogno di Telecom… Immaginate di essere davanti al vostro computer e volervi connettere ad Internet. Per farlo ci sono sostanzialmente due modi: vi connettete direttamente, o attraverso una LAN (Local Area Networks, ovvero una rete locale) a un provider. La comunicazione via Internet, lo sappiamo, ha bisogno di una rete telefonica: noi chiamiamo il provider, il provider chiamerà Telecom e chi per lei e siamo in Internet. Ogni nuovo indirizzo che digitiamo nel nostro browser è una richiesta che spediamo via modem a un server, il quale ci risponde sempre ripercorrendo la rete telefonica mostrandoci quello che gli abbiamo chiesto: nella maggior parte dei casi una pagina web. Questa spiegazione, più per semplicità che per esattezza, mette in luce tuttavia un limite di Internet che alcuni gruppi di programmatori stanno cercando di aggirare, promovendo nello stesso istante un vera e propria presa di coscienza. Il limite sta nel fatto che per usufruire della connessione si deve inevitabilmente pagare (in ogni senso) il dazio a chi detiene il controllo delle infrastrutture su cui viaggia la comunicazione via Internet e il Web. Parliamo allora di tralicci, centraline, cavi ecc., in una parola: Telecom oggi, domani Infostrada, e chissà chi altri. Negli ultimi anni, altre soluzioni sono state sviluppate. Pensiamo alla connessione satellitare, al cablaggio in fibre ottiche di molte città. Sistemi alternativi che cercano di migliorare la velocità di connessione, ma soprattutto che tentano di creare una infrastruttura alternativa, senza duplicare semplicemente i pregi e i difetti di quella esistente. Risultato però, sembra che non ci sia domanda, o non sia sufficiente. E tanti progetti non riescono a sfondare. Le infrastrutture non influiscono inoltre solamente sull’efficacia dello strumento Internet, ma pongono un problema economico di dominanza sul mercato di alcuni operatori rispetto ad altri, e soprattutto un problema di democraticità. In sostanza: se cade un traliccio o s’impalla una centralina Telecom, sono centinaia o migliaia gli utenti cui si arreca un danno; si chiedono gli eventuali risarcimenti, si sprecano le solite parole al telefono, ma fondamentalemente prima o poi il servizio verrà (sigh) ristabilito. Se ciò succedesse non per caso, ma per volere si interrompesse il passaggio di informazione, in paesi diversi dall’Italia ad esempio, in cui il controllo sull’informazione è più forte e la libertà di stampa più minacciata, allora si capisce chiaramente come il controllo delle infrastrutture può incidere sia economicamente che politicamente che socialmente. Per quanto nessun panorama apocalittico di questo genere sia a tutti gli effetti possibile nei cosiddetti paesi avanzati, è altrettanto vero che il controllo economico e sociale sulle infrastrutture nella nostra società moderna ha forse sviluppato una sorta di apatia o rassegnazione civile, dove alla censura ipotetica sull’informazione si è sostituito una sorta di centralismo culturale: forma più o meno dittatoriale per cui “nulla può cambiare”, dove le fonti legittimate a parlare di questo o quel argomento sono quelle e solamente quelle, quasi che “malgrado tutto” l’attuale stato delle cose garantisca sufficentemente i diritti fondamentali fra cui la libera informazione/formazione. A questo il popolo di Seattle appunto reagisce e promuove incontri e riflessioni, non a caso utilizzando il motto “un altro mondo è possibile”. Sembra proprio questa rassegnazione, in conclusione, una delle caratterizzare attuali della maggior parte degli utenti. Nuovi investimenti user-oriented quindi? A che pro? Internet è un mezzo interattivo, che per svilupparsi ha anche bisogno di un utenza “attiva”; se questa si accontenta, rallenta lo sviluppo del mezzo. Se le semplici regole dell’economia allora non sembrano giustificare un’ulteriore crescita frenetica di Internet e affini, verso nuovi utenti e nuove tecnolgie, ma al contrario confermano il momento di stasi in cui si troverebbe la net economy; se la maggior parte dell’utenza sembra accontentarsi e così diminuisce la domanda di miglioramento tecnologico; al di fuori di queste regole molte persone e molti progetti alternativi stanno aprendo una prospettiva interessante e all’avanguardia per un diverso sviluppo di Internet. Sonoprogetti basati su “non profit technology” (NPT) in tutto il mondo: dal Free software, a Freenet, dal progetto Open Directory Project (ODP) e non a caso, parlando di popolo di Seattle, al recente “Seattle Wireless“. Progetti portati avanti da persone che non si rassegnano affatto e non sono per nulla soddisfatti da un punto di vista etico di come stanno andando le cose, né tanto meno dalla qualità dei servizi offerti in rapporto ai costi da sostenere: etici ed economici. Persone e progetti che vivono la rivoluzione digitale soprattutto come un momento e uno strumento di emancipazione, di libertà e di giustizia. Progetti e persone reali che hanno un denominatore comune: combattere un monopolio, in essere o in divenire: la forma – diciamo così – economica sotto cui sembrerebbe celarsi il centralismo culturale di cui si parlava. Come nel caso delle infrastrutture: veri e propri fili, cavi e vincoli fra cui ci si può sentire, al minimo problema, burattini incapaci di una certa autonomia e privi della libertà che Internet ci aveva promesso. Ecco che a Seattle l’idea è stata per l’appunto quella di utilizzare la tecnologia “Wireless”, ovvero “senza fili”. E’ questo fondamentalmente il segreto di tutto il progetto. Tolti i fili, sostanzialmente, non ci sono più centraline, tralicci e quant’altro & no Telecom. Questa la grande scommessa di Seattle. Una scommessa che insieme ai diversi progetti alternativi e non profit preoccupano gli stati generali della net economy mondiale. Che fanno dire addirrittua a Andy Grove (Presidente Intel) nella recente intervista su Wired: “La penetrazione di Internet è sostanziosamente molto avanzata negli Stati Uniti rispetto al resto del mondo. Nei prossimi cinque anni, è probabile che la penetrazione di Internet nel resto del mondo replichi ciò che è successo qui. E ciò fa intendere – proteste come quelle in puro stile Seattle permettendo – una globalizzazione di cultura, di businness, di comunicazioni, e raggiungere un livello di pervasività che in sé cambierà il mondo significativamente”. E che fa dire a di George F. Colony, presidente della Forrester, una delle più grandi società di analisi di Internet, in occasione della ricerca Forrester/NASDAQ “Il Web ha un problema, un grosso problema. È goffo, noioso e isolato: in altre parole è destinato a morire”. E che perciò prevede un Internet diverso e migliore, un “X Internet” che secondo la società di analisi sarà dappertutto, ovunque ci siano apparecchi ad elettricità, capaci di comunicare con o senza filo. Solo allora Internet prenderà il controllo del mondo reale, un mondo dove i terminali Internet saranno 14 miliardi nel 2010, contro i 100 milioni di oggi. Un’analisi evocativa anche se ricalca, nelle suggestioni, i libri della fantascienza cyberpunk di Gibson. Chi, infatti, tra gli utenti non sogna di poter navigare senza il peso del browser in un mondo animato e veramente interattivo. Un Internet che non abbia sempre bisogno di un computer e di una linea telefonica, che consenta di entrare e uscire da questo mondo parallelo in qualsiasi posto fisico ci si trovi. Con la possibilità di indossare il proprio computer cucito sull’abito, avendo tutto quello che serve per comunicare sempre a portata di mano. Ma anche la possibilità di staccarsi da questo mondo parallelo e riprendere la nostra coscienza individuale e la nostra privacy. E non è questa la direzione intrapresa da “Seattle Wireless”? Ma come funziona? Per chi vuole sapere di più, e subito Senza voler affrontare l’intero capitolo “tecnologie wireless” su cui sono molti e ingenti gli interessi e gli investimenti della net economy, nel caso specifico, per comprenderlo forse meglio, conviene partire dal basso, da dove infatti sono partiti coloro che hanno pensato di sviluppare il progetto. In sostanza, infatti, per quanto riguarda Seattle Wireless si tratta più semplicemente della possibilità di aumentare il raggio di azione di una LAN per mezzo di semplici antenne. L’idea è semplice e per certi aspetti geniale se affrontata, soprattutto all’inizio, in un’ottica locale. Ma non priva di difficoltà e certo non risolutiva al 100% dei problemi che riguardano la democraticità dell’Internet. La LAN è una rete locale, di norma utilizzata in uffici o edifici, per mezzo della quale tutti i computer dello stesso ufficio o stesso edificio sono connessi fra loro. Recentemente Intel ad esempio, ma non solo, per risolvere il problema di chi ormai incespica nella miriade di fili e cavi in ufficio, ha sviluppato prodotti wireless per permettere la connessione di un computer a Internet per mezzo non più di un patch/cavo collegato fisicamente alla propria LAN appunto, ma grazie ad una scheda ethernet installata sul computer che ad infrarossi si collega ad una console non più grande di un telefono. In questo modo l’utente può spostarsi fino a trenta metri e, “senza fili”, rimanere connesso. Se quindi si parte dal concetto di LAN, allora si può capire il grande vantaggio e la genialità forse del progetto, per cui la LAN non è semplicemente la rete locale di un edificio, ma di un’intera città. Ecco perché per poter moltiplicare e replicare quei famosi 30 metri e passa di connessione wireless, Matt e Steve e il gruppo di Seattle chiedono e ottengono lo spazio per poter installare antenne in giro per la città. In modo tale che Seattle possa essere costantemente connessa, da ogni luogo e senza bisogno di cavi o cavetti, in altri termini, cablata, ma per mezzo di antenne, il cui proprietario non è nessuno e sono tutti i membri che usufruiscono del servizio. Nel caso il progetto riuscisse completamente, ci si troverebbe in sostanza sempre nel raggio di azione di questa “LAN cittadina”, priva di cavi (come invece è il caso delle MAN, Metropolitan Area Network) e tramite una semplice scheda ethernet e onde radio (802.11b) ci si potrebbe connettere anche dal bar sotto casa. A quel punto basta accendere il computer. Link utili

Tutti i nodi delle comunità wireless nel mondo C’è chi, inoltre, sta implementando free network ad hoc BurningMan. La L0pht era in procinto di sviluppare software per la comunità del wireless networking.


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