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ROM. Non vuole andare a rubare e denuncia la sua famiglia

Questa la storia di una ragazza Rom che, vittima di schiavitù familiare perchè non disposta a condurre una vita simila a quella dei suoi parenti, decide di denunciare il clan

di Redazione

Voleva andare a scuola e condurre una vita «normale». Soprattutto non voleva andare a rubare e rifiutava di sposare un estraneo che era pronto a versare migliaia di euro per lei. Per questo è stata picchiata, insultata, segregata, molestata. Per due anni ha subito di tutto, e non da una persona sola ma dall’intero «clan familiare, madre e zie comprese, che si è mosso nei suoi confronti come un’entità compatta realizzando una “schiavitù familiare” espressione di una vera sub-cultura nel senso sociologico del termine».
Per sottrarsi al suo «inferno» la giovane approfitta dei controlli nel campo effettuati dalle forze dell’Ordine per prendere i primi contatti. Così gli agenti della Polizia Locale le danno un numero a cui chiamare per raccontare tutto. Viene organizzata la fuga. L’11 aprile dello scorso anno la giovane riesce a raggiungere un’auto della Polizia Locale priva di contrassegni e con personale in abiti civili che l’aspetta vicino al campo. Lei viene subito condotta negli uffici del Reparto Radiomobile dove racconta tutto quello che ha dovuto subire. E viene portata in una comunità protetta gestita dal Comune dove si trova ancora oggi. Iniziano le indagini. Gli inquirenti trovano riscontri. A supporto delle accuse mosse dalla ragazza c’è anche la testimonianza di un giovane italiano che spesso coltiva l’orto del padre che si trova vicino all’insediamento abusivo e ha potuto conoscere la giovane. A quel punto sono scattate le manette. Nell’operazione sono state rinvente grandi quantità di sostanze stupefacenti, armi e refurtiva.


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