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Ferdi e il Grande Fratello, così l’Italia promuove i rom

di Redazione

L’ultima edizione del «Grande Fratello» vinta da un rom assume un carattere politico ben preciso, una risposta alle accuse di razzismo nei confronti dell’Italia provenienti dall’Europa e dalle istituzioni europee dopo l’infamante propaganda xenofoba anti rom durante l’ultima campagna elettorale. Una sorta di compensazione a giochi fatti. Il messaggio chiaro ed inequivocabile – «gli italiani non sono razzisti» – arriva dal più becero degli spettacoli di intrattenimento, espressione del voyeurismo morboso e della tv spazzatura. Il vincitore è l’emblema del reietto che si riscatta rinunciando alla propria identità. Il protagonista che non ha nulla a che vedere con il mondo romanò, di cui lui non ha assolutamente consapevolezza né antropologica né culturale, ha vinto perché ha dimostrato la sua chiara volontà di assimilazione negando le proprie origini. È questo che ha commosso gli italiani che hanno espresso nei suoi confronti becero paternalismo e misera pietà, altre due facce di un latente razzismo che serpeggia nel Bel Paese, soprattutto verso i campi nomadi. Quest’ultimi sono emblema della segregazione razziale e della negazione dei diritti umani in contravvenzione a tutte le convenzioni internazionali, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e della stessa Costituzione italiana. Alcuni anni fa, con lo stesso sfondo politico e le stesse motivazioni un altro rom ha vinto l’edizione del «Grande fratello» in Croazia. Il governo di Zagrabia chiedeva di entrare in Europa e doveva dimostrare di non essere razzista. L’edizione italiana, quindi, non è neanche una trovata originale. Così gli strateghi politici e mediatici hanno deciso di utilizzare la carta del subliminale, creando ad hoc uno “zingarello pentito” che ha passato una infanzia schifosa maltrattato e vessato da assurdi genitori. L’ultima diretta del «Grande fratello» ricordava una di quelle lacrimose telenovelas brasiliane, una “carrambata” in piena regola.
Gli eventi culturali legati al mondo rom come esposizioni multimediali, festival, concerti, mostre, rassegne cinematografiche, pubblicazione di libri e partiture musicali, cd e quant’altro non vengono rilevati e diffusi dai media. È chiaro che l’opinione pubblica è travisata e intossicata dai pregiudizi. Intanto molte famiglie di rom e sinti sono costrette a sopravvivere in condizioni spesso disumane nei campi nomadi che ormai da più di 40 anni in Italia si sono costituiti come pattumiere sociali e come pretesto per progetti autoreferenziali di organizzazioni sedicenti rappresentative. Occorre superare la politica dei campi nomadi che porta solo emarginazione e degrado. Occorre sostenere le associazioni che hanno progetti che favoriscono realmente l’integrazione (non assimilazione) dei rom e sinti.


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