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Ici e Chiesa, si danno i numeri

Polemica politica sulle esenzioni, ma qual è la realtà?

di Franco Bomprezzi

Mentre l’Euro è appeso agli umori del vertice di Bruxelles, mentre oggi alle 11 sono scaduti i termini per la presentazione degli emendamenti al decreto “salva-Italia”, si infiamma la polemica su Ici e patrimonio della Chiesa. Sul web trionfa la richiesta di eliminare le zone di esenzione riservate alla Chiesa, il direttore di Avvenire ribatte colpo su colpo da giorni sostenendo che si tratta in realtà di una “bufala”, e i giornali oggi in edicola dedicano spazio a questo tema, che tocca da vicino l’intero mondo non profit. Curiosamente si sfila dalla discussione e dall’approfondimento IL GIORNALE che non dedica neppure una riga allo spinoso argomento.

Il CORRIERE DELLA SERA dedica pagina 19 al tema: «Ici-Chiesa, lascio libero il Pdl» è titolo del pezzo portante, con le parole di Berlusconi al vertice Pdl. “«Non voteremo la mozione che venti deputati del Pd presenteranno lunedì per chiedere di far pagare l’Ici agli immobili della Chiesa che sono esentati». Il capogruppo del Pdl a Montecitorio, Fabrizio Cicchitto – racconta Maria Antonietta Calabrò – è molto netto rispetto alle polemiche nate anche all’interno del Pdl, circa l’opportunità (visti i grandi sacrifici cui sono chiamati tutti i cittadini) di modificare il regime di esenzione per gli immobili adibiti ad attività «non esclusivamente commerciali», posseduti dalla Chiesa”. E più avanti così riassume lo stato della polemica: “«La Chiesa dovrebbe pagare l’Imu in caso di attività commerciali», ha affermato con chiarezza il ministro per la Cooperazione e l’Integrazione, Andrea Riccardi. Ma «è inutile fare una grande battaglia, meglio affrontare caso per caso, e se c’è stata mala fede si intervenga». «Credo — ha aggiunto — che le attività di culto e sociali della Chiesa siano una ricchezza per il Paese e quindi l’Ici non va pagata come da accordo. Per quelle che possono essere le attività commerciali gestite dalla Chiesa, dai religiosi, dalle associazioni cattoliche, come tutte le altre, vigilino i Comuni o chi è preposto e, se non vengono pagate le tasse, intervengano». Nel complesso però la polemica sull’esenzione non si placa. Una raccolta di firme via web da parte di Micromega ha raggiunto oltre 50 mila adesioni”. Nella stessa pagina Gian Guido Vecchi intervista il giurista Giuseppe Dalla Torre, presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, membro del consiglio direttivo dell’«Autorità di informazione finanziaria». Il titolo: «Il Vaticano versa l’imposta sugli edifici in terra italiana». Eccone un passaggio significativo: «Le esenzioni riconosciute alla Chiesa come in genere al “non profit” sono risorse che ritornano moltiplicate allo Stato e alla società. Non sono privilegi. Dagli oratori alle mense dei poveri alle iniziative antiusura, c’è un pezzo importante di welfare fatto di attività assistenziali e sociali di cui forse non si è consapevoli. Sarà che non è nello stile cristiano battere la grancassa. Ma il mondo cattolico è chiamato su questo a un impegno più forte. La carità ha creato l’identità italiana prima che ci fosse lo Stato».

Anche LA REPUBBLICA affronta il tema Ici & Vaticano. Lo fa a pagina 11: “E ora la Chiesa apre il dossier sull’Ici. Gotti Tedeschi studia il «sacrificio»”. Scrive Marco Ansaldo: «Affrontare la tempesta dell’ici e uscirne a testa alta. Per il bene della Chiesa e dell’Italia. In Vaticano la Segreteria di Stato sta pensando a come gestirla». Un primo segnale dal cardinale Tarcisio Bertone: «i sacrifici fanno parte della vita», ha detto, «la Chiesa farà la sua parte, soprattutto a favore delle fasce più deboli. Il problema dell’Ici è un problema particolare: da studiare e da approfondire». Una presa di posizione non vittimistica, sottolinea Ansaldo. Rispetto alla quale pare si stia muovendo Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior. Intanto la raccolta di firme su Facebook ha superato quota 75mila e sul sito di Micromega Barbara Spinelli ha scritto: «è scandaloso che la Chiesa italiana chieda più equità nella manovra e non sia sfiorata dal dubbio che anche lei debba contribuire ai sacrifici chiesti agli italiani».

Mentre IL GIORNALE, come detto nella introduzione alla rassegna di oggi, ignora totalmente questo tema, troviamo nell’edizione on line de IL FOGLIO, sul blog di Piero Vietti “Cambi di stagione” , un approfondimento sul tema Ici-Chiesa. “Ici e Chiesa, qualche spunto per farsi un’idea” il titolo del pezzo. «Il primo punto da mettere in chiaro, in effetti, è che la disinformazione sul tema fa passare l’idea che la chiesa non paghi in assoluto nessuna tassa sugli immobili. Falso», altro aspetto «che nella cagnara di questi giorni si è perso: a godere di tale esenzione non sono soltanto i luoghi di culto della chiesa cattolica, dato che le esenzioni previste per le attività solidali e culturali svolte senza l’obiettivo di guadagnarci riguardano non solo la chiesa cattolica ma ogni altra religione che abbia intese con lo stato italiano e ogni altra attività non profit di qualunque ispirazione, laica o religiosa (dai sindacati alle associazioni sportive passando per i valdesi e i luterani)». Vietti conclude spiegando che «in sostanza: se io svolgo attività riconosciute dallo stato utili alla collettività (perché lo stato non è in grado di coprirle), è giusto che sia avvantaggiato, perché permetto allo stato di risparmiare, e di arrivare a cittadini più poveri o in difficoltà là dove il welfare nazionale non riesce ad arrivare (è il concetto di sussidiarietà). Quello che bisogna verificare è che l’attività in oggetto (albergo, mensa, scuola) sia effettivamente non profit, ma una volta fatto questo, perché chiedere che comunque venga tassato chi, pur non guadagnandoci, fa un servizio alla comunità?». All’interno del pezzo c’è un rimando ad un articolo de “La bussola quotidiana” il sito cattolico, il cui comitato editoriale è fatto da Vittorio Messori e Andrea Tornielli, che “vuole offrire una Bussola per orientarsi tra le notizie del giorno”.  Il pezzo consigliato da Vietti è di Marco Ciamei e titola “Quello che non vi dicono su Chiesa e denaro”.  Essendo l’autore un avvocato il tema è approfondito dal punto di vista legale partendo dalla legge sull’Ici istituita dallo Stato italiano nel 1992, «nello stesso intervento normativo (decreto legislativo n. 504/1992) sono state previste delle esenzioni: “alla Chiesa cattolica”, penserete subito. Sbagliato: l’esenzione ha riguardato tutti gli immobili utilizzati da un “ente non commerciale” e destinati “esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”». 

«Se Dio pagasse l’Ici, il caso di via Aurelia». È il titolo dell’articolo che IL MANIFESTO dedica alla questione, a pagina 6, firmato Luca Kocci. L’occhiello recita «Sacri emolumenti», e spiega «si potrebbero ottenere 800 milioni di euro». Scrive Kocci: «Era prevedibile che in un Consiglio dei ministri dove siedono, fra gli altri, il rettore dell’università Cattolica di Milano nonché vicepresidente del Consiglio di amministrazione del quotidiano dei vescovi Avvenire, Lorenzo Ornaghi, e il fondatore della Comunità di sant’Egidio, Andrea Riccardi, la priorità non sarebbe stata l’abolizione dell’esenzione. E così gli immobili di proprietà ecclesiastica (e degli enti «senza fini di lucro») continueranno a non pagare tasse per una cifra che, secondo i calcoli dell’Anci, si aggirerà – considerando anche la rivalutazione al 60% degli estimi catastali – attorno agli 800 milioni di euro l’anno. Un privilegio che ora, con l’imposta che graverà anche sulla prima casa, in precedenza esclusa, risulta ancora più intollerabile». Si fa l’esempio del «mega complesso immobiliare romano in via Aurelia 796, dove hanno sede alcuni organismi di solidarietà della Cei, come Caritas e Fondazione Migrantes, ma anche la televisione e la radio dei vescovi (Tv2000 e Radio InBlu)». Il complesso è passato «dall’Immobiliare Aurelia sostentamento srl – organismo commerciale controllato dall’Istituto centrale per il sostentamento del clero -, alla Fondazione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, controllata direttamente dalla Cei e proprietaria anche della maggioranza di Avvenire. La Fondazione è ente ecclesiastico senza scopo di lucro, e questo consente alla Cei un risparmio fiscale, non solo dell’Ici, di 2 milioni e 700mila euro l’anno, spiegò allora il segretario della Cei mons. Crociata, precisando che l’operazione è “in piena conformità con le norme vigenti” e “con i permessi autorizzativi e di destinazione d’uso rilasciati dal comune di Roma”». Un box ricorda intanto che Micromega ha raccolto 70mila firme per il suo appello per eliminare «i privilegi goduti dalla Chiesa Cattolica».

Sulla questione Chiesa-Ici tocca al SOLE 24 ORE mettere qualche numero e qualche paletto. In un articolo a pagina 11 si dice infatti che se Chiesa e non profit pagassero l’Ici, il gettito stimato per lo Stato sarebbe di circa 400 milioni, che scendono a 100 però secondo altre stime (tra cui quella del membro dell’agenzia per il terzo settore Luca Antonini). Ma secondo il SOLE «la vera novità della manovra» è il congelamento delle rendite catastali per gli immobili di classe B (in cui sono ricompresi collegi, conventi, cappelle, oratori e seminari ma anche tutti gli uffici pubblici, gli ospedali, le scuole, biblioteche, musei e carceri). Il SOLE utilmente ricorda però che pende sull’esenzione Ici una decisione dell’Unione Europea sulla eventuale infrazione della normativa Ue, che effettivamente potrebbe avere un peso politico sulle vicende nostrane.

“Beni Chiesa. Come stanno le cose”. ITALIA OGGI, il quotidiano dei professionisti, avanza delle precisazioni per riportare la polemica nei suoi precisi confini. «E’ noto che la questione s’incentra su quell’avverbio “esclusivamente” ( art 7, comma 1 relativo alla finanza degli enti territoriali, che esenta gli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive) «poi interpretato autenticamente così da estenderlo alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale». Secondo ITALIA OGGI, la norma non riguarda solo la Chiesa. «Riguarda tutte le confessioni religiose. Riguarda tutti gli enti non commerciali. Carmelo Palma, direttore dell’associazione Libertiano ha correttamente annotato che l’esenzione favorisce si un albergo della Chiesa  con qualche stanza gratuita per i pellegrini, ma altresì un ristorante dell’Arci che riservi, nel retrobottega, una saletta per fa giocare a carte gli anziani del paese».

Dopo l’editoriale del 7 dicembre, e gli articoli di ieri, AVVENIRE in prima pagina torna sul tema Chiesa-Ici con uno schema chiarificatore e una nota del direttore Tarquinio. Nella nota si dice che «l’ultima iniziativa legislativa in materia, un emendamento radicale» poi non approvato, «puntava a colpire esclusivamente gli enti religiosi cattolici, negando solo ad essi i benefici stabiliti dalla legge». Poi si spiega che l’esenzione, «contenuta nel decreto legislativo 504 del 1992 e successive modifiche» riguarda gli immobili degli enti non commerciali «destinati esclusivamente ad attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive», oltre alle attività di religione o di culto. Sono intervenuti poi due altri provvedimenti, un decreto del 2006 e una circolare del 2009, le cui conseguenze sono riassunte da AVVENIRE così: 1) Gli immobili non pagano l’Ici solo se utilizzati da enti non commerciali e solo se destinati totalmente all’esercizio esclusivo di una o più tra le attività sopra elencate. Se manca una di queste due condizioni, l’esenzione decade; 2) La Chiesa Cattolica beneficia dell’esenzione esattamente come tutte le altre confessioni religiose che hanno un’intesa con lo Stato e con gli enti non commerciali, categoria che include molti soggetti del “non profit”; 3) L’esenzione non si applica ai locali adibiti ad attività commerciali. Librerie, ristoranti, hotel, negozi e abitazioni concesse in locazione (anche della Chiesa) pagano l’Ici; 4)Tutto l’immobile deve essere utilizzato per lo svolgimento dell’attività esente. È falso, ad esempio, che se in un albergo c’è una cappellina, tutto l’immobile diventa esente. È vero anzi il contrario. Tutto l’albergo (compresa la cappellina che di per sé sarebbe esente) deve pagare l’Ici. Nelle pagine interne, un’intervista a Paolo Beni dell’Arci che dichiara«L’esenzione Ici va conservata sia per le realtà laiche che per quelle cattoliche». Rossano Bartoli (lega del Filo d’Oro), avanza il dubbio che «nel tentativo di fare cassa si stia accendendo una lampadina su tutto il settore non profit», Roberto Speziale dell’Anffas si dice «indignato» mentre per Marco De Ponte (Actionaid) «le esenzioni alle realtà non commerciali dovrebbero essere estese, non limitate».

LA STAMPA  ripercorre le tappe delle esenzioni dell’Ici citando Arianna Ciccone sul sito viola la valigiablu.it . « l’introduzione dell’Ici risale al 1992 e da subito erano state introdotte delle esenzioni che riguardavano la Chiesa cattolica, il mondo del non profit (associazioni, comunità, circoli culturali, sindacati, partiti politici) destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Nel 2004 la Cassazione cancella l’esenzione per enti anche ecclesiastici che svolgono attività commerciali. Nel 2005 lo Stato pubblica un’interpretazione autentica della legge  che ammette l’esenzione. Un impostazione impugnata davanti alla Commissione europea e denunciato come aiuto di Stato. Il governo Prodi con un decreto a firma Bersani introduce un concetto nuovo:  attività non esclusivamente commerciale. I radicali non demordono e chiamano in causa la Corte di giustizia di Lussemburgo. Entro maggio 2012 Bruxelles dovrà decidere. Il governo Berlusconi aveva deciso di togliere l’esenzione a ospedali, scuole, alberghi a partire dal 2014. Poi sono insorti dubbi interpretativi e si è tornati alla norma precedente. A quanto ammonta il patrimonio della Chiesa? 100mila immobili, di questi 9 mila sono scuole, 26mila strutture ecclesiastiche e quasi 5 mila strutture sanitarie. Per l’Agenzia delle entrate significa un potenziale introito di 2miliardi di euro all’anno. Stime che risalgano al 2005 e l’Anci oggi  ridimensiona a 700 milioni  di euro. La confusione è tanta tanto che il neopresidente dell’Anci, Graziano Delrio, dalle colonne dell’Unità ha proposto un censimento».

E inoltre sui giornali di oggi:

TELEVISIONE
LA REPUBBLICA – “Frequenze tv, la gara andrebbe deserta”. Rispetto all’ipotesi di rifare a tariffe eque l’assegnazione del digitale, Berlusconi manda i suoi messaggi neanche tanto criptati. «Non ho mai affrontato il problema», dice, «temo che se ci fosse da affrontare una gara potrebbe andare veramente deserta». Sul perché non sia stata inserita in manovra, Ellekappa lancia una ipotesi irriguardosa nella sua vignetta: «Berlusconi sereno sulle frequenze tv», dice un personaggio, «Evidentemente tra i tecnici ha un antennista di fiducia», gli risponde l’altro.

ABORTO
LA REPUBBLICA – “Sedicenne incinta non vuole abortire”. La ragazza aspetta un bimbo da un giovane albanese. I genitori chiedono al tribunale di costringerla ad abortire. Fabio Biasi, il pubblico ministero che ha seguito il caso, ha dovuto alzare le mani: non c’è spazio per la legge, non si può ordinare un aborto per sentenza. Interrompere una gravidanza è un diritto, non può certo diventare un dovere.

NO TAV
CORRIERE DELLA SERA – A pagina 27 la cronaca degli scontri di ieri in val di Susa: “No Tav, assalto al cantiere”. Scrive Marco Imarisio: “Al mattino nella piazza davanti al campo sportivo di Giaglione è già tutto deciso, e la giornata proseguirà senza alcuna deviazione da un copione già scritto. «Non deve essere un nuovo 23 ottobre» dice Luca Abbà da Exilles, uno degli storici capi No Tav, «ma neppure un altro 3 luglio», dove il riferimento è alla giornata campale dell’estate scorsa. Doveva essere una cosa a metà strada tra il nulla e il calor bianco, così è stato a riprova della capacità dei No Tav di autodeterminare le loro sorti. Il corteo di Susa, con il blocco della A32 Torino-Bardonecchia e l’allargamento della contestazione alla Sitaf, l’azienda concessionaria dell’autostrada, è stato fortemente voluto dai valligiani. Quello in partenza da Chiomonte era un diversivo, mentre da Giaglione doveva partire il troncone destinato al nuovo assedio delle recinzioni, raggiunte tramite scarpinata nei boschi e lungo il torrente Clarea. A stare larghi 3.500 persone in tutto, meno di un terzo dei presenti alla manifestazione del 23 ottobre. In questi numeri ci può anche essere la necessità di una nuova spinta radicale. I No Tav sembrano alle prese con la stanchezza fisiologica di un assedio continuo e la crescente ostilità del resto della valle, compresa quella che sperava in questo week end di fare cassa con le prime e uniche nevi del Piemonte”. 


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