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Cooperazione & Relazioni internazionali

Caro Riccardi, non è solo colpa degli altri

Il 2012 è stato un anno nero per le adozioni. Per la Cai la colpa è dei paesi di provenienza. Per gli enti non è vero...

di Sara De Carli

Meno 23% di bambini. Meno 22% di famiglie. Il 2012 è stato un anno nero per le adozioni internazionali (leggi la notizia sul report della Cai): un calo che si era già annunciato negli anni passati, ma che nel 2012 ha raggiunto proporzioni davvero preoccupanti. Nel 2011 infatti le adozioni internazionali nel 2011 erano calate del 2,6% rispetto all’anno prima, molto meno di quel -10% che si paventava. Quest’anno invece le cose sono andate molto peggio, anche rispetto alle più fosche previsioni. Perché?
La Commissione adozioni, nel suo comunicato, dà in sostanza la colpa agli altri. «Tale flessione è dovuta principalmente al rallentamento delle attività constatato in alcuni Paesi», dice. E parte con l’elenco dei paesi responsabili: Colombia, Bielorussia, Vietnam, India, Polonia, Ucraina. Davvero è solo questo? Paesi che chiudono le adozioni o che le sospendono o dove le procedure sono molto lente ci sono sempre stati: perché quest’anno è stata una debacle?

Sui social network la discussione si è accesa. Dal basso, la crisi economica sembra essere la prima, vera responsabile della diminuita disponibilità all’accoglienza delle famiglie. Qualcuno ha citato, per spiegare il calo, l’aumento della procreazione medicalmente assistita. «È vero, soprattutto le coppie più giovani sempre più spesso come prima carta tentano la PMA», ammette Graziella Teti, responsabile adozioni del Ciai. Parlando con loro, gli enti autorizzati, quelli che più di tutti hanno il polso della situazione, viene fuori un quadro molto più complesso di quello che la Cai lascerebbe intendere. A cominciare dalla critica diffusa ad Andrea Riccardi, un presidente che – primo nella storia – non ha fatto nemmeno una missione all'estero.

Premiare le sinergie
«Quello che mi preoccupa non è il calo delle adozioni, ma il fatto che a questo calo corrisponde l’aumento dei bambini che restano senza una famiglia», dice subito Stefano Bernardi, direttore di Enzo B. «Perché non è che i bambini senza famiglia siano diminuiti, anzi, la crisi nei paesi  poveri fa aumentare gli abbandoni. Certo che se i costi dell’adozione sono interamente sulle spalle delle singole famiglie, la crisi anche da noi taglia la disponibilità. Dall’altra parte per gli enti stare nei paesi è sempre più complesso e oneroso…». Le strade? Per Bernardi sono «sempre le stesse: «una deducibilità più semplice delle spese per adozione; rivedere il ruolo dei tribunali dei minori e la stessa idoneità, che non può più essere concepita come pre-selezione; incentivare le sinergie fra gli enti e prevedere un allentamento dei vincoli là dove ci sono sinergie, come già accade nel campo della cooperazione. Cosa che la Cai non ha fatto per nulla. Ha invece di fatto chiuso per il 2013 la possibilità di aprire in nuovi Paesi».

Gli special needs fanno ancora paura?
Paola Crestani, presidente del Ciai, sottolinea il cambiamento di scenario che si sta delineando con sempre maggiore chiarezza. La spinta alle adozioni nazionali nei paesi di origine lascia poi disponibili per le adozioni internazionali bambini con problemi sempre più gravi o che comunque hanno bisogno di essere seguiti con un’attenzione speciale, che faticano a trovare una famiglia all’interno del loro paese. «Dalla Cina, per esempio, che pure è citata come un paese in crescita, sono arrivati solo bambini con special needs», le fa eco Graziella Teti. Le coppie lo sanno e di conseguenza sono più caute. Sono un po’ spaventate, anche dall’aspetto economico del percorso che le aspetta, fatto di specialisti e di aiuti aggiuntivi da mettere in conto. «I paesi africani, per esempio, all’ultima conferenza lo hanno detto chiaramente: “siete troppi, non ci faremo prendere d’assalto da voi”. Va bene e va anche rispettato, ma allo stesso tempo serve lavorare con questi paesi per aiutarli a accelerare le verifiche dello stato di abbandono, perché è pur vero che ci sono un sacco di bambini dentro i loro istituti, che ci restano per anni».

Via i mediatori all’estero
Marco Griffini è il presidente di AiBi, che negli ultimi mesi ha proposto riforme complessive del sistema adozioni e affido. Griffini non ha paura di dire che «se va avanti così, tempo cinque anni e le adozioni internazionali saranno morte. Paesi che chiudono ce ne sono sempre stati, il problema è che il calo delle domande di idoneità iniziato nel 2006 prima o poi doveva venire al pettine». E il calo delle domande di idoneità è legato agli alti costi delle adozioni e al «terrorismo ad arte fatto dai tribunali e dai sostenitori della cultura della selezione, con una recrudescenza inaudita in questi ultimi anni». Griffini infatti racconta che da settembre 2012, per la prima volta nella storia, ci sono coppie che rinunciano a metà percorso, per motivi economici: «figuriamoci allora quante sono quelle che, per le stesse ragioni, nemmeno iniziano». Rivedere i costi non è cosa impossibile: «basta eliminare i mediatori all’estero e avvalersi solo di personale dipendente, pagato dall’ente a mese e non a cottimo. Diciamocelo chiaramente, oggi esistono ancora tabelle legate all’età, per cui un bambino quanto più è piccolo, tanto più costa».
 


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