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Pellegrini: «Con Ruben mi sono fatto un grande regalo»

L'ex presidente dell'Inter con la sua Fondazione ha appena aperto un ristorante per i poveri a Milano. L'intervista

di Redazione

Lui non ci è ancora entrato. «No, sa com’è queste cose vanno fatte in sordina, non volevo che qualcuno si sentisse a disagio e nemmeno che l’attenzione fosse concentrata su di me. Meglio stare a casa, ma mi sono fatto raccontare nel dettaglio, anche perché mia figlia Valentina che in questi giorni è negli Stati Uniti ci teneva a sapere tutto. Ecco, è andata bene molto bene». La  voce di Ernesto Pellegrini dall’altra parte delle cornetta arrivata pacata e cortese come sempre. Ma questa volta un pizzico di emozione gli sfugge via. Un po’ come quando gli tocca parlare dell’Inter. Questi primi giorni di apertura di Ruben, il ristorante per i nuovi poveri di Milano ideato e messo in piedi dalla sua Fondazione, dove una cena costa un euro, sono le ore che segnano un nuovo inizio per l’ex presidente nerazzurro, quasi 50 anni dopo la fondazione della  Pellegrini spa datata 1965: «Ruben è il regalo che ha volito farmi per celebrare il mezzo secolo della mia azienda, 50 anni sono tanti: un traguardo importante, che però volevo festeggiare a modo mio».

 

Ovvero?
Rispondendo a un bisogno morale e religioso molto personale: quello di ringraziare il nostro signore per il tanto che mi ha dato in questa vita. Per farlo dovevo creare e lasciare qualcosa di realmente tangibile.

Ma perché proprio un ristorante per i poveri?
Ruben era il nome di una persona a me cara morta di stenti per il freddo quando ero bambino. Un ricordo che mi ha accompagnato in questi anni e che mi ha profondamente ispirato nell’idea della Fondazione e del ristorante.

Come hanno reagito i suoi familiari a questa decisione?
Mia moglie (che il giorno d’esordio ha passato tutta la sera da Ruben, ndr.), mia figlia Valentina e mio cognato Alessandro ne sono rimasti entusiasti. Mia figlia in particolare, che oggi è vicepresidente dell’azienda e in futuro raccoglierà il mio testimone. Credo che col pallino nelle sue mani l’azienda  e la fondazione sempre di più lavoreranno in tandem.

La sua è una scelta tipica di una borghesia milanese col “cuore in mano” che oggi sembra un po’ eclissata. Come sta Milano oggi?
Io sono nato nel 1940 e sono cresciuto nel dopoguerra. Allora si stava peggio di oggi, ma c’era grande entusiasmo. Milano oggi mi pare un po’ depressa, si è lasciata andare e invece bisogna tornare in trincea, bisogna tornare a battersi per il nostro futuro.

Sicuro che non andrà a mangiare da Rubin?
Non so, per ora no, su queste cose bisogna essere soft. Io già così mi sento molto appagato. Glielo assicuro.

  


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