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Infanzia? Impossibile dare risposte innovative senza fondi strutturali

L'Italia destina all'infanzia il 4,1% della spesa sociale contro il 65% che va ai trattamenti pensionistici. «Avremmo anche la capacità di dare risposte innovative, ma se non c’è possibilità di investire... Finché si continua a tagliare si fa demagogia, non ci sono le condizioni per lavorare», dice Samantha Tedesco, responsabile Programmi e Advocacy di SOS Villaggi dei Bambini

di Sara De Carli

Carlo Cracco, lo chef superstellato, venerdì scorso è stato a Vicenza, ospite della cooperativa sociale Idea Nostra: ha assaggiato e “validato” i prodotti di Pane Quotidiano, il progetto che dà lavoro a 9 ragazzi neomaggiorenni del Villaggio Sos di Vicenza. Sfornano 70 kg di pane al giorno, dolci e focacce e stanno per aprire un secondo punto vendita, per arrivare all’obiettivo di 150kig di pane al giorno, come previsto dal business plan.

I ragazzi hanno fra i 19 e i 23 anni hanno vissuto un’esperienza di allontanamento dalla loro famiglia di origine. A 18 per loro i progetti di accoglienza finiscono, come se fossero adulti autonomi: ovviamente non è così. Pane Quotidiano è un progetto nato proprio per restare al loro fianco e continuare ad accompagnarli, gradualmente, verso l’autonomia: qualcuno vive ancora al Villaggio, qualcun altro in famiglie d’appoggio: «È una risposta faticosa ma importante. Non è facile innescare il meccanismo della responsabilità personale, spesso basta una telefonata dal genitore per tirare fuori ancora la giustificazione che io sono uno che ha… no, dobbiamo insegnare ai ragazzi a vincere la tentazione di considerarsi meno di altri: è una sfida quotidiana, come fare il pane», spiega Piera Moro, direttrice del Villaggio SOS di Vicenza.

Se c’è una priorità assoluta, pensando ai ragazzi fuori famiglia accolti nelle comunità, sono loro, i neomaggiorenni. «C’è una assoluta incertezza rispetto al futuro, il giorno del compleanno è il giorno in cui si apre uno scenario incerto, viene chiesto a loro di essere adulti, di mantenersi, di camminare con proprie gambe… ma è un’assurdità sia rispetto a quello che chiediamo ai loro coetanei che vivono in famiglia sia all’investimento fatto prima», spiega Samantha Tedesco membro dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e Responsabile Programmi e Advocacy di SOS Villaggi dei Bambini onlus. «Prima spesso c’era il prosieguo amministrativo fino ai 21 anni, ora è diventato molto raro perché i Comuni non riescono pià a sostenerlo economicamente. Le associazioni più grandi, con una rete di volontariato, autofinanziano progetti per loro, ma le realtà piccole non ce la fanno».

Dottoressa Tedesco, lei direbbe – come ha già fatto il professor Caffo – che l’Italia ha perso terreno nelle politiche per infanzia?
Sì, nel senso che gli investimenti si sono drasticamente ridotti a partire dal 2009. Questa battuta di arresto si è un po’ frenata con l’ultima finanziaria ma continuano a non esserci fondi strutturali, non è possibile fare una programmazione. Ad esempio il fondo della legge 285 dedicato alle azioni di prevenzione è praticamente scomparso, i Comuni l’hanno usato per mantenere la spesa sociale, impropriamente. Non è vero che l’Italia spende poco per il welfare, spende poco per l’infanzia: il 4,1% della spesa sociale contro il 65% destinato ai trattamenti pensionistici. Per minori e famiglie destiniamo l’ 1,3% del Pil, contro l’11% della Germania. Tutto questo determina una programmazione a fiato corto, un Piano infanzia senza risorse certe… quindi l’impossibilità di avere linee di investimento che vadano a coprire i problemi dell’infanzia.

Perché la mancanza di fondi implica non avere risposte innovative?
È tutto collegato, non avendo la possibilità di investire non hai la possibilità di pensare e sperimentare su larga scala risposte innovative. È un problema di fondi ma anche culturale. Prendiamo ad esempio il progetto PIPPI, citato spesso come modello: è sicuramente una risposta efficace rispetto alla prevenzione, la domanda che faccio io è quanto esso sia sostenibile su scala nazionale, perché ha un costo enorme e in alcune zone del Paese, con le risorse esistenti, non è praticabile. Avremmo anche la capacità di dare risposte innovative, ma se non c’è possibilità di investire… Finché si continua a tagliare si fa demagogia, non ci sono le condizioni per lavorare. Rispetto ai minori con cui lavoriamo noi, quelli allontanati dalle famiglie d’origine, è chiaro che bisognerebbe investire molto in termini di presidi territoriali, a cui le famiglie possono accedere quando emergono i primi segnali di difficoltà: invece abbiamo servizi che non possono prendere i carico bambini se prima non sia già stato emesso un decreto della magistratura: a quel punto però l’intervento è solo una riduzione del danno. C’è un tema reale di sostenibilità degli interventi, anche il piano contro la povertà ora prevede un grosso lavoro di rete, strutturato, ma nei servizi in cui c’è una sofferenza rispetto all’organico, come è possibile restituire progetti così individualizzati?

Spesso viene evidenziato come in Italia nemmeno si sa chi è il responsabile ultimo delle politiche per l’infanzia, tanti sono i soggetti che se ne occupano…
Certo, l’altro problema, dopo i fondi, è quello della governance. Su qualsiasi tema hai più interlocutori, che non si parlano fra loro e non hanno coordinamento, le risorse magari ci sono ma sono nelle pieghe di bilancio di diversi capitoli… Finché non ci sarà un ministero della famiglia o qualcuno che abbia tutte le deleghe è difficile… Finché il tema della governance e la questione dei fondi non troveranno una soluzioni è difficile dire che stiamo facendo ciò che andrebbe fatto per i bambini.

Cosa servirebbe veramente?
Sono talmente tante le cose che è difficile mettere in ordine. Certo i problemi che hanno le politiche per l’infanzia diventano ancora più grandi se parliamo di infanzia vulnerabile. In questo momento stiamo lavorando a delle linee guida nazionali sulle comunità di accoglienza insieme alle Regioni e al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: vorremmo dare delle linee di indirizzo per garantire standard di qualità omogenei sul territorio nazionale, perché oggi i minori fuori famiglia subiscono trattamenti diversi a seconda dei territori. Esistono territori in cui i loro progetti vengono completamente dimenticati.

E le loro famiglie?
Manca il lavoro in parallelo con le famiglie. Se non ci sono risorse non si fa né prevenzione né lavoro durante il collocamento in comunità. Si dice che i ragazzi restano troppo tempo fuori famiglia… in parte queste famiglie hanno difficoltà loro, se no non sarebbero lì, in parte però sono lasciate sole.


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