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Economia & Impresa sociale 

E se i voucher favorissero il lavoro nero?

Presentati come l'arma finale contro caporalato e sfruttamento dei braccianti, i buoni lavoro da 10 euro si sono via via trasformati in comodo strumento per retribuire chiunque, dai dipendenti pubblici ai pensionati. Ma senza la maggior parte delle tutele e con contributi previdenziali ridicoli. Nel 2015 c'è stato un boom "sospetto": 1,4 milioni di italiani sono stati pagati così. E ora i sindacati vogliono vederci chiaro

di Gabriella Meroni

Dovevano essere lo strumento principe per contrastare il lavoro nero, ora rischiano addirittura di favorirlo, tanto che i sindacati ne chiedono una drastica limitazione. Stiamo parlando dei voucher, i buoni-lavoro da 10 euro lordi introdotti nel 2003 dalla legge Biagi per retribuire legalmente lavoratori occasionali, soprattutto in agricoltura, e contenere caporalato e lavoro nero. Uno strumento che però negli anni ha visto una decisa estensione di utilizzo: nel 2008 il ministro Sacconi (governo Berlusconi) li ha liberalizzati, estendendoli ad altri settori e ancorandoli alla retribuzione oraria, col solo il limite di 2.020 euro l'anno per ciascun lavoratore. La riforma Fornero prima, e il Jobs Act in tempi recenti ne hanno aumentato la convenienza, cancellando il vincolo dell'occasionalità e alzando il tetto massimo di reddito annuo, che oggi arriva a 7000 euro netti. Risultato: un vero e proprio boom, senza controlli né tutele, visto che il voucher non "copre" la malattia e accantona contributi previdenziali ridicoli: la Cisl ha calcolato infatti che con sei mesi di lavoro pagato con voucher si accantonano all’Inps gli stessi contributi previdenziali che si maturano in due mesi di lavoro pagato mille euro. In pratica, un lavoratore retribuito solo con voucher per maturare una pensione minima dovrebbe lavorare 126,5 anni.

Forse per la sua semplicità – basta andare dal tabaccaio ed acquistarli, e il gioco è fatto – forse per coprire pratiche di lavoro al limite della regolarità, fatto sta che i voucher piacciono ai datori di lavoro italiani, e molto: con 115 milioni di buoni venduti nel 2015, per un valore di 860 milioni di compensi e 150 milioni di contributi previdenziali, si è registra l'anno scorso un vero boom, tanto che ormai ben l'8% dei lavoratori italiani è retribuito in questo modo. In Veneto, per esempio, nel 2015 sono stati venduti oltre 15 milioni di buoni, e in Toscana sempre nei dodici mesi passati questo strumento ha registrato un +85,2% rispetto al 2014.

Tanto che i sindacati hanno cominciato a sentire puzza di legalizzazione di un salario minimo non contrattualizzato, se non proprio di lavoro nero messo in lavatrice. «Se lo stesso Boeri dice che c’è il rischio che con i buoni lavoro si alimentino forme di precariato, il problema c’è», ha detto Monica Stelloni, coordinatrice del Dipartimento mercato lavoro di Cgil Toscana. Ma è in Veneto che la protesta si è fatta più veemente, tanto che la Cisl regionale nel corso di una conferenza stampa ha lanciato la campagna “Stop Voucher”: «Le finalità dei voucher sono state snaturate», ha denunciato Onofrio Rota, segretario Cisl del Veneto, «trasformandosi in uno strumento per coprire il lavoro nero e incentivando la frammentazione dei rapporti di lavoro in modo da giustificare il loro pagamento con questa forma di retribuzione». I dati del sindacato parlano di un numero di voucher cresciuto di sette volte tra il 2012 e il 2015 in provincia di Treviso e quintuplicato a livello regionale. Numeri che hanno portato la Cisl a chiedere che l'utilizzo dei buoni venga riportato alle finalità originarie, ripristinando il concetto di occasionalità cancellato dalla riforma Fornero, innalzando la quota dei contributi previdenziali al 27% e rendendoli tracciabili.

Ma come è composto il popolo dei voucheristi? In base a un'indagine Inps datata 16 maggio, in totale i lavoratori retribuiti con i buoni-lavoro nel 2015 sono stati 1 milione 380mila, di cui un terzo (il 29%) occupato presso aziende private: fra questi, il 46% ha un contratto a termine. Un altro 26% è rappresentato da disoccupati senza sussidi:, in maggioranza donne (57%). Il 18% sono percettori di ammortizzatori sociali, mentre gli inoccupati rappresentano il 14%, nella stragrande maggioranza dei casi giovani intorno ai 20 anni. Non mancano i pensionati, che sono l’8%, per a maggior parte impiegati nelle attività agricole, mentre un altro 8% è composto da lavoratori di vario tipo, tra cui domestici, parasubordinati, operai agricoli, autonomi, professionisti, dipendenti pubblici.

Per raccogliere le voci dei diretti interessati, dai primi di maggio è attivo il Numero Verde Cisl 800 995 035, a cui i voucheristi possono raccontare e denunciare la loro esperienza nella massima riservatezza. Le informazioni raccolte, senza citare i nomi, serviranno a completare un dossier da inviare al Ministero del Lavoro, alla Regione e all’Inps. Chi vuole potrà anche avere informazioni utili per far valere i propri diritti.


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