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Cooperazione & Relazioni internazionali

Etiopia, dove si vive e si muore in una discarica

Nella discarica di Addis Abeba una immensa frana di rifiuti ha travolto e soffocato 65 persone, fra cui molte donne e bambini. Lavoravano e vivevano nella discarica, per pochi centesimi. L'alternativa? I progetti che puntano sul recupero e il riciclaggio dei rifiuti, ma in sicurezza

di Sara De Carli

Ieri si parlava di 46 morti, ora i morti sono già saliti a 65: fra loro molte donne e bambini, travolti e soffocati dai rifiuti. È successo ad Addis Abeba, in Etiopia, nella notte fra sabato e domenica: l’immensa montagna della discarica di Koshe, la più grande dell’Etiopia, è franata travolgendo 30 forse 50 abitazioni precarie costruite proprio sui rifiuti. Le case – qualche canna di bambù, un po’ di legno e un telo di plastica sopra la testa – sono state travolte e sommerse dalla spazzatura, che si accumulava in quella zona da almeno quarant’anni. Le persone che erano già in casa, sono rimaste schiacciate e soffocate.

Nadia Rossetto è project manager di CIFA, un ente autorizzato alle adozioni internazionali che lavora anche nella cooperazione. Da un anno vive ad Addis Abeba, sta seguendo un progetto per dare alternative alla migrazione irregolare, il suo ufficio è a pochi chilometri dal luogo dell’incidente: «Ho provato ad avvicinarmi ma è impossibile. Pare ci siano ancora molti dispersi, qui si parla di 150 persone, anche se ovviamente nessuno ha la certezza di quanti vivessero lì», racconta al telefono. La discarica di Koshe è immensa: la città di Addis Abeba, spiega Nadia, «ogni anno produce 300mila tonnellate di rifiuti e da quarant’anni venivano accumulati lì. Nel 2013 sono iniziati i lavori per costruire un impianto a biogas, ora si dice che proprio i movimenti legati al cantiere possano aver provocato lo smottamento… Certo, se quelle case non fossero state lì…».

In Etiopia ci sono 20 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà. Ad Addis Abeba sono centinaia – «almeno 500», racconta Nadia – quelle che ogni giorno si avventurano nella discarica di Koshe «alla ricerca di oggetti da rivendere, soprattutto ferraglia e plastica. Rivendo i rifiuti a peso, per 10 birr al kg, sono l’equivalente di pochi centesimi di euro. In assenza di altro, questa è l’unica fonte di reddito per molte famiglie».

Il Cifa il 1 aprile avvierà un progetto per la raccolta e il riciclo dei rifiuti in plastica. Si chiama "100% plastica", è un progetto triennale ed è stato finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Non sarà ad Addis Abeba ma 300 km più a sud, nella città di Awassa. Il contesto non è molto diverso: «è una città che sta crescendo molto rapidamente e che conta già 1 milione di abitanti», spiega Nadia. Anche qui c’è una discarica enorme e una gestione critica dei rifiuti solidi urbani, con centinaia di persone che lavorano informalmente con i rifiuti. Il progetto, che coinvolge la municipalità di Assawa, gli hotel della città, l’Università locale e dall’Italia la Città Metropolitana di Torino e l’Università di Torino, «coinvolgerà 400 fra questi raccoglitori di rifiuti: ci saranno dei corsi di formazione e saranno avviate sei associazioni formali per strutturare una filiera di raccolta differenziata, selezione e riciclo della plastica, con i mezzi, le informazioni e le condizioni per lavorare in sicurezza», racconta Nadia. Obiettivo numero uno: evitare che le persone vivano nella discarica, come a Koshe.

Foto di ZACHARIAS ABUBEKER/AFP/Getty Images


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