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Ambrosini: «Iwobi? Le migrazioni sono un tema trasversale, non solo di sinistra»

Fa scalpore l'elezione del primo senatore di pelle nera, il 62enne nigeriano Toni Iwobi, da 25 anni militante della Lega. "Ma niente abbagli, i simboli lasciano il tempo che trovano. Quando si passa dalla retorica degli slogan alla concretezza del governare le cose cambiano: le ultime sanatorie sono targate centrodestra", rilancia il sociologo Maurizio Ambrosini

di Daniele Biella

“Non facciamoci abbagliare dai simbolismi”. E’ netto il sociologo e docente universitario Maurizio Ambrosini, esperto di migrazioni, quando gli si chiede il significato profondo del fatto che il primo senatore di pelle nera – ma non il primo parlamentare – sia stato eletto con la Lega Nord, oggi ribattezzata Lega e uscita tra i vincitori della recente tornata elettorale. Stiamo parlando di Tony Iwobi, 62 enne di origine nigeriana arrivato 40 anni fa a Perugia per studiare e successivamente trasferitosi nel bergamasco dopo avere sposato una donna italiana.

Come possiamo leggere l’elezione del primo senatore nero nelle file della Lega di Salvini?
Come un gioco già visto, da più parti, la cui carica innovativa riguarda un quadro politico più ostile all’immigrazione che in passato, certo, ma nel concreto fa capire come anche fra gli immigrati ci sia chi ha, come Iwobi, idee del tutto diverse dalla maggioranza di chi è immigrato in Italia. Il gioco già visto è quello che, per esempio, ha visto da quella stessa area politica una parlamentare di origini marocchine nelle file di Forza Italia, Souad Sbai. Ma ha anche visto l’arrivo alla Camera dei deputati di Cecile Kyenge, durante il governo Letta, voluta proprio da lui come simbolo in questo caso per incardinare un’attenzione costruttiva verso le problematiche relative alla cittadinanza straniera in Italia. Ma questo simbolo si è rivoltato contro chi l’ha pensato, nel senso che ha veicolato un’opposizione virulenta e sguaiata con addirittura lanci di banane e epiteti come “orango” rivolti a Kyenge.

Si può leggere costruttivamente l’elezione di Iwobi, attaccato oggi da Mario Balotelli e comunque netto nel recepire gli slogan del suo “prima gli italiani” e “cacciamo i clandestini” tipici del suo partito?
Bisogna farlo, perché i temi legati alle migrazioni sono trasversali, non solo “di sinistra”. Per cercare soluzioni oggi bisogna prima di tutto svelenire il clima e poi smettere di collocare in un unico calderone tutti questi temi, ovvero abbandonare i toni ostili della campagna elettorale. Oggi è imperativo distinguere il tema degli sbarchi da quello della legge sulla cittadinanza per le seconde generazioni, oppure slegare il tema dell’asilo politico dalla questione dei delitti dato che non c’entra nulla, perché la xenofobia deve lasciare il campo a discussioni più pragmatiche.

Quali discussioni?
Per esempio pensare alle situazioni specifiche di persone straniere in Italia, non alle nazionalità. Mi spiego: capire come gestire gli studenti che vengono in Italia a studiare, oppure gli infermieri, le badanti o ancora la situazione legislativa dei figli degli immigrati. Essere pragmatici significa ricercare soluzioni ragionevoli in ognuno di questi aspetti, trattandoli in modo distinto l’uno con l’altro.

Ma c’è un margine di manovra visti i proclami pre-elettorali di chi ha ricevuto più voti alle elezioni?
Il margine è molto stretto, gli spazi potrebbero essere scarsi perché gli ultimi mesi sono stati influenzati parecchio da una narrazione ostile incentrata su una paventata “invasione”. Inoltre, oltre alle forze di centrodestra con chiari elementi di xenofobia, anche il Movimento 5 stelle su questi temi è molto lontano da posizioni di apertura: mi stupisco di chi lo reputa una forza che può avvicinarsi alla sinistra su questi temi, date le ultime azioni come la guerra aperta alle ong in mare dello stesso Luigi Di Maio, il contrasto all’accoglienza (vedi le eclatanti dichiarazioni poco prima delle elezioni di Roberta Lombardi, ndr) e l’opposizione alla riforma alla legge sulla cittadinanza. Detto questo, però, siamo in Italia e quindi…

Quindi?
Quindi il dato di fatto è che le maggiori sanatorie del recente passato sono state fatte da governi di centrodestra, in particolare dal ministro Roberto Maroni. Che poi ha usato un linguaggio volutamente modificato – le ha chiamate “emersioni” e non sanatorie – ma nel concreto ha permesso di regolarizzare 300mila tra collaboratrici domestiche e badanti. O ancora, nel 2011 ha dato a tutte le persone tunisine in transito in Italia un permesso temporaneo di soggiorno. Questi esempi per indicare che le contraddizioni tra retorica e slogan da una parte, e pratica e necessità di governare dall’altra portano a provvedimenti che non ti aspetteresti da esecutivi ostili all’immigrazione. A ben vedere, per loro è più facile portare avanti decisioni del genere, una volta prese, perché dall’opposizioni di centrosinistra sanno già di non trovare resistenze, come invece è avvenuto in questi anni a posizioni invertite.

Quale potrebbe essere un provvedimento in tal senso?
Una sanatoria per i 200mila richiedenti asilo presenti oggi in Italia, lo 0,3% della popolazione. Ci sarebbe un margine di praticabilità perché, per esempio, molti datori di lavoro sono pronti a testimoniare che è un controsenso che persone richiedenti inserite a livello lavorativo nei temi lunghi dell’attesa di una risposta all’asilo vengano poi diniegati e buttati in mezzo a una strada nonostante l’integrazione avvenuta. Il nuovo governo, qualunque esso sia, di sicuro andrà ad incontrare i datori di lavoro e per questo dico che se sarà disposto all’ascolto si renderà conto che aldilà dei proclami da campagna elettorale, la pragmaticità è quello che conta. In Germania e in Svezia la via è tracciata da tempo: l’assunzione lavorativa sana l’irregolarità.


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