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Ires & non solo. Nel 2019, basta “giochetti”, ora si apra un confronto serio

"Spesso siamo stati oggetto di attacchi verso chi manifesta critiche, come se il normale esercizio della democrazia da parte dei corpi sociali fosse divenuto reato di lesa maestà. Il problema è semmai quando i corpi sociali si fanno silenti e troppo ossequiosi verso le maggioranze di turno", sostiene il vicepresidente nazionale Acli e responsabile Terzo Settore

di Stefano Tassinari

Il cambio di rotta del Governo sulla riduzione dell’Ires per gli enti non profit, è sicuramente una buona notizia insieme all’annuncio che ripartirà presto un confronto con il Forum del Terzo Settore, senza il quale la riforma rischia di viaggiare col freno a mano tirato, con decreti ministeriali fermi ai blocchi di partenza. Attendiamo di entrare immediatamente nel merito.

La riforma del Terzo settore, prevede agevolazioni e cambiamenti (compresa l’eliminazione della riduzione dell’Ires per gli Enti di Terzo Settore, compensata da altre misure di favore), che vanno messi a regime insieme, e nei giusti tempi, pena gravi danni. L’auspicio è che su norme che toccano un mondo eterogeno non si proceda più per annunci e dichiarazioni spot, alternando accuse generiche e spiegazioni confuse ad attestati di stima, ma con un dialogo permanente e un confronto nel merito. I “furbetti del finto volontariato”, sbandierati come alibi dell’errore compiuto, si possono già eliminare alla radice se invece di fare brusche deviazioni di rotta, si decide di andare avanti con la riforma e con le semplificazioni a suo tempo affrontate anche all’Assemblea del Forum del Terzo Settore proprio dal ministro Di Maio e, in parte, riprese nel decreto fiscale. Semmai il percorso va implementato agevolando di più la vita amministrativa agli enti, specie, ma non solo, ai piccoli, nonché rilanciando le forme innovative previste dalle nuove norme come la coprogrammazione con gli enti locali, ed estendendo invece alcuni vincoli anche a chi, pur parte del non profit, per scelta o per definizione, non rientra nel Terzo settore. E tra questi i partiti.

Ma quella dell’Ires al non profit impegnato in tante opere di assistenza non è l’unica nuova tassa o norma che oggi preoccupa il Terzo settore. Le fanno compagnia una serie di altri provvedimenti, accompagnati spesso da attacchi verso chi manifesta critiche, come se il normale esercizio della democrazia da parte dei corpi sociali fosse divenuto reato di lesa maestà. Il problema è semmai quando i corpi sociali si fanno silenti e troppo ossequiosi verso le maggioranze di turno.

Stando alla manovra, la prima menzione va alla tassa sulle rimesse di tanti lavoratori immigrati, che ha il solo triste merito di svelare la vacuità della retorica de “Li aiutiamo a casa loro”, ennesima tassa sul lavoro a chi già spesso non vedrà la pensione per la quale versa oggi i contributi e che rappresenta, appunto la prima vera forma di aiuto ai paesi d’origine. Senza considerare l’insieme dei provvedimenti sull’immigrazione. Ovviamente parliamo degli stranieri non ricchi: grazie a una norma della precedente manovra, solo per fare un esempio, Ronaldo (stando ad alcune notizie che stimano 50 milioni di entrate dall’estero) verserebbe solo lo 0,2% di tasse.

Insieme ad altre misure, va ricordata la gravissima eliminazione dei permessi umanitari a chi è “colpevole” di fuggire da maltrattamenti disumani, da una tirannia, dal rischio di tortura, ma non può dimostrare di esserne personalmente e direttamente già colpito: come se per telefonare alla polizia bisognasse prima aspettare di essere completamente derubato o ferito, sempre che si resti tutti interi.

Seguono l’enorme clausola di salvaguardia sull’IVA, che in un modo (tagli ai servizi) o nell’altro (aumento dell’imposta o del debito) andrà a pesare sulle fasce popolari, o i calcoli ottimistici sulla crescita, piuttosto che il blocco dell’indicizzazione delle pensioni che, nel caso di famiglie monoreddito con particolari carichi familiari (dei quali mai si tiene conto) risulta sempre una beffa. C’è poi l’esclusione del Terzo settore dal lavoro attivo contro la povertà, conseguenza del voler esautorare i comuni a favore dei centri per l’impiego (alla quale si oppone l’Alleanza contro la povertà), o i tagli all’alternanza scuola lavoro.

E che dire della probabile ennesima deroga alla messa a gara delle concessioni balneari: se un sindaco affida a un ente di Terzo settore un gruppo di rifugiati per farli lavorare al servizio della comunità rischia la galera, se qualcuno si appropria in eterno di un pezzo del nostro tesoro pubblico più sottovalutato, i nostri litorali, si srotolano i tappeti rossi. Eppure proprio l’apertura al mercato di quelle concessioni potrebbe creare lavoro per chi riceve sussidi contro la povertà, proprio prevedendo che siano assegnate a imprese, sociali o altre, purché inseriscano almeno un 30% di lavoratori assumendoli tra persone povere o appartenenti a fasce deboli.

Senza contare la vera più grande tassa sui poveri del Paese, su cui va fatto molto di più: il gioco d’azzardo legalizzato, oltre 100 miliardi che colpiscono chi soprattutto è già in difficoltà e che sono tolti a una economia autenticamente reale, perché la realtà sociale concorre a crearla e non a distruggerla.

Infine risorse per combattere la povertà e creare sviluppo autentico si possono trovare se si assumono come proprie le richieste per una Tassa sulle Transazioni Finanziarie a livello europeo, una aliquota infinitesimale che pesa solo su chi fa soldi coi soldi, con scambi che avvengono in millesimi di secondo, e per la Tassazione Paese per Paese (Country by Country reporting), per far sì che l’Ires la paghino tutti, presentando i propri bilanci distinti per ogni singola nazione, e cessi l’elusione e la fuga nei paradisi fiscali, tipo il Lussemburgo, ma non solo. Si tratta di miliardi incassabili, non di milioni, oltre che di cause che reclamano una vera riforma del mondo finanziario, che sempre più vede anche crescere una “finanza ombra” priva di qualsiasi regola e colpevolmente dimenticata da qualsiasi sedicente “riformismo”.

Confidiamo allora che alle importanti dichiarazioni del Presidente del Consiglio segua un dialogo vero e consistente, senza sconti reciproci, ma rispettoso dei rispettivi ruoli, con a cuore l’interesse generale del Paese, che la riforma riconosce come tratto distintivo del Terzo settore. Interesse generale che è l’interesse di tutti ovvero abbraccia proprio tutti solo se inizia dalle situazioni che più reclamano giustizia e dignità.


*Vicepresidente nazionale ACLI, Responsabile Terzo Settore


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