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Spaesamento: la malattia del nostro tempo che alimenta disuguaglianze e razzismi

Spaesamento è la condizione fisica e mentale, il disorientamento emotivo che mette in crisi le certezze non solo di chi è costretto ad emigrare ma anche di chi accoglie e deve affrontare l'accoglienza. Da qui le incomprensioni, la paura, il razzismo, che può anche sfociare in violenza. Una discussione a Roma

di Redazione

Che cos’è lo spaesamento? È la condizione fisica e mentale, il disorientamento emotivo che mette in crisi le certezze non solo di chi è costretto ad emigrare ma anche di chi accoglie e deve affrontare l'accoglienza. Da qui le incomprensioni, la paura, il razzismo, che può anche sfociare in violenza. Esiste un antidoto? Se lo sono chiesti gli organizzatori e i protagonisti dell’incontro dedicato proprio a questo tema, che si è svolto venerdì scorso a Roma su iniziativa della senatrice Michela Montevecchi. A dibattere insieme a lei: Gianni Marilotti, Presidente della commissione per la biblioteca e per l'archivio storico; Suzanne Mbiye Diku medico chirurgo, presidentessa dell’associazione Redani-Rete della Diaspora africana nera in Italia; John Mpaliza di Peace walking man foundation e l’artista franco-beninese Yvan Alagbé, autore del fumetto intitolato "Negri gialli e altre creature immaginarie".

Non a caso, proprio il fumetto di Alagbé è stato un po’ il filo conduttore di tutto l’incontro. Opera di culto in Francia e di recente tradotta in italiano, contiene tutti i temi dello spaesamento, compensati in tavole potenti e piene di simbolismo, nello stile espressionista e ricco di neri che l’autore ha scelto per raccontare questa storia. Una storia che vede protagonista Alain, ragazzo del Benin immigrato a Parigi senza documenti, e che riflette le storie degli ultimi della società, tra emarginazione, inadeguatezza, solitudine e perdita dei riferimenti. Non mancano poi le questioni più care all’autore, a partire dal colonialismo francese, così come la crisi del debito, il sistema monetario e lo sfruttamento. “Sono temi universali che dovrebbero interessare tutti – spiega durante il convegno – se non scardiniamo questo sistema basato sul prestito a interesse, che crea un debito insostenibile e di conseguenza l’asservimento, non sconfiggeremo mai le disuguaglianze”.

Un asservimento che non è solo economico: “Epistemicidio” è infatti la parola che la chirurga Suzanne Mbiye Diku ha usato per definire “l'arroganza del mondo occidentale nel considerarsi come il metro di misura di ciò che è degno e di ciò che non lo è”. Da qui il diniego di identità e di dignità, così come il furto dell'immaginario che secondo Diku avrebbero reso l’africano così manipolabile, sia nella propria terra di origine, sia qui in Italia. E allora è necessaria una narrazione diversa, soprattutto a beneficio dei ragazzi, capace di eliminare i pregiudizi reciproci e di portare all’attenzione le questioni realmente importanti. Tra queste: la mancanza di diritti fondamentali come quello alla salute, soprattutto per le donne in contesti di guerra dove spesso il loro corpo è utilizzato come un’arma.


Anche John Mpaliza, attivista e animatore di numerose marce per la pace, getta un occhio all’Italia per descrivere lo spaesamento. In particolare, guarda al clima che si respira nel nostro Paese da un po’ di tempo a questa parte. “Espressioni come ‘sporco negro’ stanno tornando di moda, io stesso me lo sono sentito dire” racconta senza peli sulla lingua e con la verve che lo contraddistingue. Da 26 anni in Italia, nel 2010 si è licenziato dal suo lavoro presso un ente pubblico e ha cominciato a correre le sue maratone, in particolare per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tragedie legate allo sfruttamento minerario da parte delle multinazionali per l’estrazione del coltan nella Repubblica Democratica del Congo, Paese da cui è dovuto fuggire più di vent'anni fa. Ma è al razzismo nostrano che ha dedicato la sua ultima maratona, tutta italiana. “Si parla tanto di identità quando i ragazzi non conoscono nemmeno la storia del proprio paese o della propria città – ha commentato venerdì – Così come sono spaesati gli anziani, che non riescono a stare al passo con la tecnologia e sono tagliati fuori”.


Cambia il linguaggio, salta la comunicazione, si scardinano le relazioni. In apertura del convegno la senatrice Montevecchi ha parlato non a caso di un “paradossale desiderio di chiusura in questo mondo iperconnesso”. Un mondo dove il fallimento di molte delle politiche, sia nazionali che internazionali, si rispecchia nei numeri dello sfruttamento: “40 milioni le persone nel mondo che vivono in uno stato di schiavitù, di cui il 71 per cento donne e minori; 4,8 milioni le donne soggette a sfruttamento sessuale; 400 mila le vittime del caporalato in Italia”. Niente soluzioni a portata di mano, ma uno spiraglio in mezzo alle nubi del nostro presente secondo la senatrice esiste: va cercato nell’arte e nella cultura, capaci di travalicare stati e confini e al tempo stesso di unire le comunità.


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