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Politica & Istituzioni

Memorandum Italia- Libia, una vergogna che il Governo deve fermare

Il 2 febbraio l'accordo tra i due Paesi volto al contenimento delle partenze dei migranti si rinnoverà automaticamente per altri tre anni. Nonostante le promesse non è mai stata intavolata una trattativa per modificarlo e sulla questione il Governo si nasconde raccontando che ci sarà la possibilità di cambiamenti in itinere. Ma non è così

di Lorenzo Maria Alvaro

«Purtroppo l'Unhcr non ha avuto altra scelta se non quella di sospendere le operazioni presso la Gdf di Tripoli, dopo aver appreso che le esercitazioni di addestramento, che coinvolgono personale di polizia e militare, si svolgono a pochi metri dalle strutture che ospitano i richiedenti asilo e i rifugiati». Così si è espresso Jean-Paul Cavalieri, capo della missione dell'Unhcr in Libia annunciando la sospensione delle le sue operazioni presso la Struttura di raccolta e partenza (Gathering and Departure Facility / Gdf) a Tripoli. Il Gdf rientra nella giurisdizione del Ministero dell'Interno libico. La decisione, fa sapere in un comunicato l'agenzia Onu per i rifugiati, è stata presa a causa dei timori per la sicurezza e la protezione delle persone ospitate nella struttura, del suo staff e dei suoi partner, in considerazione anche dell'aggravarsi del conflitto libico.

Ma mentre l'Onu sospende le attività l'Italia si appresta a lasciare che il 2 febbraio il memorandum Italia-Libia sui migranti venga ufficialmente prolungato automaticamente per altri 3 anni. Senza alcuna modifica. Una scelta fatta nonostante gli appelli, politici e della società civile, che chiedevano una revisione, o almeno una sospensione, del memorandum che ha dato avvio a una collaborazione con il Paese nordafricano per contenere le partenze dei migranti. Dopo il silenzio del Parlamento quindi l'accordo viene prolungato per altri tre anni e il negoziato Roma-Tripoli per cambiarlo, nonostante le ripetute rassicurazioni del governo, non è mai iniziato.

Le criticità del memorandum


Come è stato denunciato più volte, anche da VITA, non è possibile verificare come la Libia impieghi, e abbia impiegato, le risorse economiche che arrivano dall'Italia. Il nostro Paese continua quindi a foraggiare con milioni di euro la cosiddetta Guardia Costiera libica, e contribuisce a tenere in vita i centri di detenzione, dove sistematicamente vengono violati i diritti umani. Stando agli ultimi dati, più della metà dei migranti scappati dalla Libia negli ultimi tre anni sono stati intercettati e riportati indietro: si parla di 40mila persone. Oltre 1000 solo nei primi giorni del 2020.

E nel frattempo la Libia, come sottolinea la decisione dell'Unhcr, è precipitata in una situazione di totale instabilità: dopo lo scoppio della guerra, dal 4 aprile scorso, in un Paese di 5 milioni di abitanti, ci sono stati quasi 350mila sfollati. Secondo l'ultimo rapporto dell'Onu si sono registrati almeno 287 morti tra civili e 370 feriti, con un 60% delle vittime causate da raid aerei. Si contano 8.500 persone distribuite in 28 prigioni sotto il controllo del ministero della Giustizia e altre migliaia si trovano in quelle dirette dai ministeri dell'Interno, della Difesa o in mano ai gruppi armati. I più vulnerabili sono i rifugiati e i migranti presenti nel Paese nordafricano: circa 3200 rifugiati e migranti si trovano nei centri di detenzioni gestiti dal Dipartimento per il contrasto all'immigrazione illegale (ministero dell'Interno) e dalle milizie. Tra loro circa 2mila si trovano in aree esposte ai combattimenti (soprattutto a Tripoli e nei dintorni).

La Costituzione


Il patto Italia-Libia è stato stipulato in violazione dell'articolo 80 della Costituzione: il Parlamento, che in teoria deve autorizzare la ratifica dei trattati internazionali che hanno natura politica e che determinano degli oneri finanziari sul bilancio dello Stato, è stato esautorato dal suo ruolo. Il memorandum è ovviamente di natura politica, visto che la Libia è un partner strategico nel Mediterraneo in materia di immigrazione.

Il Governo


La vice ministra degli Esteri Marina Sereni, in un'intervista ad Avvenire, ha assicurato oggi che ci sarà presto un intervento del governo per accelerare la revisione dell'accordo: «Non è vero che dopo il 2 febbraio non ci saranno margini di manovra. C'è invece la possibilità e la volontà di rivedere il memorandum e potremo farlo anche dopo quella data. Qualsiasi ragionamento, però, non può prescindere dalla situazione sul terreno».

Un'affermazione vera solo in parte. In primo luogo perché qualunque modifica del memorandum non può essere unilaterale ma concordata con la Libia. Nulla quindi assicura che i libici accettino di cambiare i termini dell'accordo già firmato. Se poi fosse così praticabile la strada della modifica in itinere non si capisce pertché il Governo non l'abbia già praticata per i primi tre anni di accordo appena trascorsi.

«Purtroppo gli impegni presi alla Conferenza di Berlino non sono stati rispettati», ha spiegato Sereni. «Senza una tregua e un cessate il fuoco durevole – violato dai bombardamenti del generale Haftar e dalle interferenze di Paesi come la Turchia che riforniscono di armi e uomini il fronte del premier al-Sarraj – non è facile avviare un percorso verso la stabilizzazione. Per noi – ha sottolineato la vice ministra – è essenziale la radicale riforma delle modalità di trattamento dei migranti. Conosciamo le denunce dell'Onu e tutte le accuse riferite a innumerevoli violazioni dei diritti umani, sia nei centri di detenzione illegali che in quelli ufficiali. Certo non abbiamo “competenza” sulle prigioni clandestine, ma sulle strutture ufficiali proporremo una serie di questioni che riguardano le condizioni di vita».

A risultare evidente è come il Governo sia stipulando un accordo con un Paese nel caos. Resta da capire come questo caos infici qualunque iniziativa ma non l'eventuale rinegoziazione di un accordo in essere.

Le reazioni della società civile

La campagna #Ioaccolgo sostenuta da tantissime realtà della società civile ha organizzato una mailbobbing verso il Governo (qui le istruzioni).

Emergency ha lanciato l'allarme per il rinnovo automatico degli accordi con la Libia, prorogati, fino ad ora, alle stesse identiche condizioni: «L'Italia dice di aver fatto la sua parte, ma non è così. Non ha mantenuto la promessa di modificare il memorandum rendendo il nostro Paese complice – se non il committente – delle innumerevoli violazioni dei diritti umani perpetrate in Libia». Emergency «condanna il rinnovo di questo vergognoso accordo con la Libia e chiede all'Italia e all'Europa di dare risposte serie e credibili per affrontare ciò che avviene ogni giorno nei luoghi di detenzione libici e nel Mediterraneo».

«Non possiamo più farci condizionare dallo scenario di guerra e le tensioni che anche in queste ore si presentano in Libia, scegliendo il ricatto di Al Sarraj che non accetta condizioni basilari e pretende il rinnovo del Memorandum così come è», è la posizione di Silvia Stilli, portavoce AOI. «Se il Governo italiano accetterà di firmare l’accordo senza alcuna reale discontinuità con il precedente, avendo certezza delle inenarrabili violenze di cui la Libia è protagonista, metterà in discussione la sua stessa adesione alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.

«Consideriamo inaccettabile per l’Italia rinnovare gli accordi con un Paese dove permangono e si sono acutizzate, a causa dell’escalation del conflitto, continue violazioni dei diritti umani e dei diritti dell’infanzia», aggiunge in conclusione Raffaela Milano, Direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children, in merito al rinnovo degli accordi tra Italia e Libia siglati nel 2017.«Non è possibile rimanere indifferenti di fronte a quanto sta accadendo. L’Italia metta il tema del rispetto dei diritti umani al centro delle proprie priorità e ne faccia il faro nella valutazione rispetto a tali accordi, che andrebbero immediatamente sospesi»


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