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Mancano i migranti: raccolti a rischio nei campi del bresciano

Tra lavoratori in quarantena e stranieri che sono rientrati nei Paesi di origine, nelle campagne del bresciano servono braccia. Finora gli interventi sono stati insufficienti. La ministra Bellanova ha prolungato i permessi di soggiorno in scadenza e aperto un "corridoio verde" con la Romania, ma continua a non bastare. Flai-Cgil: “Fare emergere i migranti che lavorano in nero da sfruttati”

di Luca Cereda

AAA 3.600 lavoratori agricoli cercansi nel bresciano. Insieme a Bergamo, quello di Brescia è il territorio italiano più colpito dal Covid-19 tra contagi e decessi. «Questo ha fatto si che si fermasse l’afflusso di braccianti stranieri, principalmente rumeni e indiani, verso i campi», spiega il responsabile provinciale dei datori di lavoro agricoli di Coldiretti Brescia, Antonio Zanetti. «Molti hanno paura del contagio e hanno fatto le valigie, temendo anche di non poter più tornare alle loro case, viste le restrizioni imposte dai loro governi», racconta Alberto Semeraro, segretario regionale Flai-Cgil e fino a dicembre responsabile Flai Brescia.

Lo stesso non si può dire della natura che fa entrare nel clou in queste settimane la raccolta nei campi.

Le prospettive nei campi bresciani
Per il territorio bresciano, chiaramente, la parte del leone la giocherà la viticoltura alla fine dell’estate tra agosto e novembre, «anche se le squadre per la vendemmia iniziano ad essere assembrate ad aprile dalle cooperative – spiega Semeraro -, la stima è di almeno 3.500 lavoratori occasionali che mancano all’appello». Ma nei campi del bresciano un’iniezione di forza lavoro – almeno un centinaio di persone – è indispensabile anche per il comparto ortofrutticolo.

Occorre quindi un intervento sul piano nazionale ed europeo per evitare che vengano poste barriere alla circolazione dei lavoratori e delle merci, «nel rispetto della salute di chi lavora e della trasparenza per quanto riguarda le assunzioni», chiedono i sindacati.

Cos’è stato fatto
«L’emergenza coronavirus sta purtroppo impattando in modo sostanziale sulle attività delle imprese bresciane a conduzione famigliare e quelle medie», spiega Zanetti. Il Decreto Cura Italia ha previsto che le attività prestate da parenti e affini fino al sesto grado non costituiscono rapporto di lavoro, se la prestazione è gratuita. Fratelli, genitori, nonni, figli, nipoti, suoceri, generi e via dicendo possono collaborare, «ma non basta». Nelle campagne mancano braccia e si sta gettando cibo. Se non si fa qualcosa per sopperire alla carenza di stagionali, secondo Coldiretti, il 40% di frutta e verdura non raccolta resterà a marcire nei campi.

Non c’è più tempo per le polemiche politiche: il ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova tira dritto e dopo il Cura Italia ha incontrato l’ambasciatore della Romania per trovare un accordo con Bucarest e riaprire il flusso degli stagionali.

Il rischio del “lavoro grigio” nel bresciano
In Franciacorta c’è anche un altro problema, esploso l’anno scorso, e che il coronavirus rende soltanto più evidente: «le paghe dei braccianti stagionali non sono adeguate e sono inferiori rispetto alla Germania. Inoltre il lavoro grigio, quando non nero, è ancora troppo esteso», testimonia il segretario Flai lombardo. Il lavoro grigio, a differenza del nero, fa ricorso a forme di contratto consentite che però nei fatti vengono stravolte e sono di fatto assimilabili al cottimo. Illegale in Italia come forma di pagamento.

In Franciacorta, la Demetra srl di Passirano l’anno scorso sarebbe stata a capo di una rete organizzata «dedita all’attività di reclutamento di lavoratori stranieri per la raccolta di ortaggi o frutta nei campi in condizioni di sfruttamento» dice la Procura che guida l’accusa all’azienda. «Dai documenti emerge un modello replicabile, non da tutte le aziende naturalmente, di falsità ideologica delle buste paga che riportavano un numero di ore inferiore rispetto a quelle lavorate e una paga oraria (da 7 a 11 euro) superiore a quella percepita realmente», spiega Semeraro allora a capo della Flai bresciana.

Decreto sicurezza
Nel passato recente, non solo nei latifondi del sud Italia ma anche nel bresciano, le cooperative agricole sono andate nei centri migranti a reclutare la manodopera. In questa chiave va letta l’affermazione di qualche giorno fa di Bellanova contro il caporalato e lo sfruttamento dei migranti: «Le baracche-ghetto dei braccianti vanno sanate e i lavoratori immigrati regolarizzati».

«In agricoltura, lavora la più elevata quota di lavoratori irregolari in relazione al numero totale di impiegati nel settore», scriveva a gennaio Hilal Elver, delle Nazioni Unite, al termine di una visita nel nostro Paese, tra Lombardia, Lazio, Toscana, Piemonte, Puglia e Sicilia. La critica è diretta al decreto Sicurezza: «Ha contribuito alla crescita dei migranti senza documenti e alla "illegalizzazione" dei richiedenti asilo e spinto sempre più persone nel lavoro irregolare». Di fatto, prima del decreto molti lavoratori agricoli extracomunitari potevano venire in Italia con il permesso di soggiorno stagionale.
Questo non ha fermato alcuni datori di lavoro, che hanno continuato ad avvalersi di lavoratori senza alcuna tutela e in condizioni di sfruttamento. In tutta Italia, compresa la Lombardia. E la situazione di emergenza sanitaria rischia di peggiorare un quadro già complesso tra burocrazia e lavoro grigio e nero.

La necessità degli stagionali stranieri
Non basta quanto fatto finora, dicevamo. La ministra Bellanova ha prorogato fino al 15 giugno i permessi di soggiorno in scadenza dei lavoratori extracomunitari, aggiungendo che «occorrerebbe farlo fino a dicembre». Ma all’appello mancano soprattutto i lavoratori comunitari. «La ministra sta cercando un accordo proprio con la Romania che nel bresciano, ma non solo, fornisce la più alta quota di braccianti nei campi», spiega Zanetti di Coldiretti Brescia.
Oggi in Italia gli operai agricoli sono circa 1,1 milioni e, di questi, gli stranieri regolari sono poco meno di 400mila, ovvero circa il 36%, la stragrande maggioranza dei quali provenienti proprio dalla Romania.

Cosa fare, allora?
Coldiretti ha proposto di facilitare il ricorso alla manodopera offrendo la possibilità, solo per questa fase emergenziale, «di impiegare persone che hanno perso il lavoro o i fruitori del reddito di cittadinanza, garantendo condizioni sanitarie ottimali e l’inquadramento nell’ambito del contratto collettivo nazionale», spiega Zanetti. «Mai come ora occorre semplificare i passaggi burocratici”.

La stessa Bellanova ha chiarito: «Voglio che lavorino gli italiani e propongo che tutti i percettori di sussidi pubblici siano messi in condizione di affrontare l’emergenza del lavoro nei campi». Ma ha anche ribadito la sua posizione sui migranti: «Abbiamo bisogno di loro per portare avanti anche il normale funzionamento della catena alimentare».

Per far fronte all’emergenza, le associazioni di categoria stanno mettendo in pista progetti ad hoc con l’obiettivo di incrociare domanda e offerta: come lo sportello Jobincountry di Coldiretti. Jobincountry ha debuttato in Veneto la settimana scorsa ricevendo oltre 1.500 offerte di lavoro di italiani con le più diverse esperienze, dagli studenti universitari ai pensionati fino ai cassaintegrati, per il 60% con età compresa fra i 20 e i 30 anni. L’idea è stata estesa a livello nazionale. L’obiettivo? «Combattere le difficoltà occupazionali, garantire le forniture alimentari e stabilizzare i prezzi e l’inflazione», spiega il responsabile bresciano dei datori di lavoro agricoli bresciani, che evidenzia anche l’importanza «che dal Governo arrivi una semplificazione del voucher agricolo, da telematico a cartaceo».

Voucher, due passi indietro sulla trasparenza
Contro i voucher chiesti da Coldiretti, c’è stata un’alzata di scudi da parte dei sindacati. «L’ultima cosa di cui ha bisogno la nostra agricoltura – sostiene il segretario lombardo Flai-Cgil – sono proprio i voucher. Serve una regolarizzazione dei braccianti stranieri per far emergere il lavoro nero e riconoscere diritti e doveri ai tanti immigrati lasciati ai margini della società, specialmente dopo i decreti sicurezza». Oltre alla non-tracciabilità – «Il caso-Demetra a Brescia non hai insegnato niente»? – i voucher pongo un altro problema: «I braccianti l’anno dopo, se non lavorano, ricevono la disoccupazione agricola per il periodo lavorato e con i voucher non gli verrà riconosciuto nulla», chiosa Semeraro.

La contro-proposta è quella di una regolarizzazione semplificata e immediata, “anche perché in alcuni territori i braccianti stanno continuando a lavorare alla giornata senza dispositivi di protezione”. E la protesta sociale può esplodere da un momento all’altro. «Il numero di invisibili non solo a San Ferdinando in Calabria ma anche in Franciacorta è compreso tra 160 e 180mila» e tanti sono senza permesso di soggiorno «dopo che il Decreto Sicurezza ha abolito il permesso per motivi umanitari, consegnandoli a caporali e sfruttatori». Lo sa la ministra Bellanova. E lo sa anche l’Europa.

Tutte le immagini sono realizzate da Flai-Cgil nei campi del bresciano


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