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Migranti, il ruolo chiave della società civile

Le organizzazioni della società civile che aiutano migranti e rifugiati sono state al centro di una conferenza del Comitato economico e sociale europeo, che ne ha illustrato le sfide quotidiane e il fondamentale ruolo, che è stato di vitale importanza durante la pandemia, attraverso la voce dei responsabili di varie organizzazioni. In una seconda sessione sono intervenuti rappresentanti di istituzioni Ue, per scambiare opinioni su possibili soluzioni

di Cristina Barbetta

«Il ruolo delle organizzazioni della società civile che aiutano i rifugiati e i migranti in Europa è stato fondamentale durante la pandemia. Senza di esse la crisi avrebbe potuto essere molto peggiore». Così il Comitato economico e sociale europeo (Cese), il cui Diversity Europe Group ha organizzato una conferenza sulle organizzazioni della società civile che aiutano i rifugiati e i migranti in Europa, fornendo loro assistenza umanitaria giornaliera e lavorando per la loro inclusione socio-economica.

L’evento si è svolto sia nella sede del Cese, a Bruxelles, sia online. A causa delle restrizioni dovute al Covid 19, solo i membri del Cese e gli speaker sono stati fisicamente presenti in aula, mentre altri membri e partecipanti hanno seguito da remoto la conferenza, che si è proposta di illustrare il ruolo fondamentale, molto spesso sottovalutato, della società civile nell’aiutare i rifugiati e i migranti, di rifocalizzare l’attenzione politica su questo tema e offrire un’opportunità di dibattito alle organizzazioni della società civile e alle istituzioni dell’Ue, nel contesto della ripresa e della ricostruzione post Covid 19 dell'Ue. Il programma della conferenza è disponibile qui.

Pavel Trantina, vice presidente del Diversity Europe Group del Comitato economico e sociale europeo (EESC) ha moderato la conferenza e ha aperto i lavori, sottolineando l'importante ruolo della società civile, che è stato vitale durante la pandemia. Arno Metzler, presidente del Diversity Europe group del Cese, che è intervenuto nella sessione d’apertura, ha evidenziato alcuni punti importanti da risolvere per quanto riguarda la crisi dei rifugiati: «Come possiamo sviluppare degli schemi per i rifugiati?» «Come possiamo usare di più le risorse che abbiamo? E fare sì che le strutture funzionino meglio?»

Durante la prima sessione, i rappresentanti di organizzazioni della società civile europea hanno illustrato le loro best practice nel campo dell’aiuto a rifugiati e migranti al momento dell'arrivo, poi del viaggio in Europa e infine dell’integrazione in Stati membri dell’Ue. Nella seconda sessione, rappresentanti di istituzioni Ue hanno dibattuto e hanno scambiato opinioni su possibili soluzioni.

Tra gli speaker della prima sessione è intervenuta Vasiliki Andreadelli, fondatrice e presidente di Iliaktida Amke, un’organizzazione che aiuta i richiedenti asilo vulnerabili in Grecia. Al momento l’organizzazione fornisce più di 600 alloggi a Lesbo e più di 1700 nel nord della Grecia, come partner dell’ Unhcr. «Lesbo», spiega Vasiliki Andreadelli, «è sempre stata la prima porta della migrazione verso la Grecia». L’organizzazione è stata fondata nel 1999 e «nel 2000 abbiamo iniziato ad accogliere i nuovi flussi migratori che stavano crescendo notevolmente», spiega Vasiliki Andreadelli. Iliaktida Amke si occupa di protezione dei minori e in partnership con Unhcr e l’Unicef si è posta l’obiettivo assicurare che nessun bambino non accompagnato debba stare nel campo di detenzione di Moria, nell’isola di Lesbo. «L’iniziativa Equal della Commissione europea ci ha aiutato molto, per venire in soccorso anche a persone che sono escluse dal mercato del lavoro. Offriamo servizi di previdenza e ospitalità, a prescindere dalla cittadinanza, formazione professionale e supporto psicosociale». «Il nostro obiettivo», continua, «è la protezione delle persone più vulnerabili, a cui vogliamo ridare la voce che non hanno, per assicurare loro gli stessi diritti dei greci». Inoltre, conclude Vasiliki Andreadelli, «organizziamo workshop specialmente per donne dai 18 ai 45 per incoraggiarle nella formazione, e aiutarle a integrarsi».

Francesca Coleti, Arci Roma, spiega che l’associazione, che è nata nel 1957 in Italia ed esiste in tutto il Paese con 4500 circoli, si occupa dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Oltre a occuparci dell’accoglienza (formazione , cultura, integrazione…) in Campania ci occupiamo anche di traffico internazionale di esseri umani. Durante il lockdown il ruolo degli immigrati è stato fondamentale. «Grazie al lavoro sfruttato degli immigrati nel campo dell’agricoltura abbiamo potuto continuare a mangiare. Mentre era vietato andare a lavorare, gli immigrati hanno raccolto frutta e verdura tutti i giorni. Senza di loro il benessere comune sarebbe a rischio. L’impegno di integrazione equa e il rispetto dei diritti dovrebbero essere incentivati con più strumenti normativi e organizzativi. Gli stessi profughi e rifugiati sono sfruttati anche se hanno un permesso di soggiorno, che è un elemento necessario ma non sufficiente per tutelarsi dallo sfruttamento lavorativo». Coleti ha sollevato la questione dei contratti truffa fatti da imprenditori a danno di rifugiati e degli imprenditori che assumono migranti in maniera illegale. Inoltre è molto difficile, spiega, avere il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti dai migranti nei loro Paesi d’origine, così che è più agevole accompagnarli a fare percorsi scolastici e professionalizzanti ex novo.

Marie Heřmanová ha spiegato che l'organizzazione che coordina, Czech Refugee Help, è composta da volontari che operano sulla rotta balcanica. L’organizzazione ha creato un movimento organizzato soprattutto con i social media: «Abbiamo raccolto donazioni per i volontari che si trovano nei campi profughi temporanei e abbiamo fatto campagne di sensibilizzazione sulla situazione dei rifugiati alle frontiere. Ci finanziamo tramite il crowdfunding e le donazioni individuali», spiega. «Anche se l’organizzazione è stata fondata 5 anni fa, nel 2015, continuiamo a essere volontari in prima linea, e spesso dobbiamo affrontare ostacoli legali e burocratici. La posizione dei volontari è poco chiara.». «Cerchiamo di essere dove più c'è bisogno di noi: abbiamo lavorato al confine tra Croazia e Serbia, in Grecia a Lesbo e nel campo profughi di Idomeni, in campi per rifugiati in Serbia, e dal 2018 lavoriamo soprattutto in Bosnia. Cerchiamo di essere ovunque ci sia bisogno di noi: la nostra flessibilità è data dal fatto che siamo volontari. Secondo le nostre stime, ci sono 12 mila persone in Bosnia che cercano di attraversare la frontiera con la Croazia. I numeri dell’Unhcr sono più bassi, perchè non tutti i rifugiati sono registrati». (…) «Ci sono rifugiati fermi ad aspettare da anni senza più una casa nel loro Paese d’origine e senza un posto in cui andare. Paesi come la Bosnia hanno creato campi temporanei che sono diventati definitivi. Ora cerchiamo di aiutare queste persone che vivono in questa situazione di limbo e non sanno cosa succederà di loro». «Un altro problema molto grave», spiega Marie Heřmanová, «è la tratta di esseri umani. In Bosnia 90 mila persone hanno attraversato la frontiera verso la Croazia e chi fa la tratta va sulla frontiera. Questo fenomeno fiorisce perché i rifugiati non hanno una destinazione in Europa. Ora le frontiere sono chiuse per tutti a causa della pandemia e il problema dei rifugiati è ancora meno visibile». Ci sono ufficialmente 7500 migranti registrati in Bosnia, spiega Marie Heřmanová. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) dice che almeno 3000 non hanno un posto dove stare perché i centri di accoglienza ufficiali sono pieni. «Ci sono minori che non sono usciti da questi centri per due anni e non sono andati a scuola». Marie Heřmanová ha sottolineato la brutalità e l’opposizione della polizia. «Lavoriamo in Bosnia con persone che devono andare in Croazia. Siamo volontari, ma siamo gli unici che ci prendiamo cura dei richiedenti asilo. Questi respingimenti illegali e gli atti di crudeltà da parte della polizia sono inutili perchè non impediscono che la gente attraversi le frontiere». Inoltre, sottolinea Heřmanová, non ci sono istruzioni e linee guida chiare per lavorare con le autorità, ogni Stato ha regole e restrizioni diverse, i volontari devono costantemente affrontare problemi legali e burocratici che impediscono loro di fornire l’aiuto che è necessario e che nessun altro sta fornendo.

Tobias Lohse, fondatore di Refugees Welcome Sweden, ha chiuso la sessione dedicata alla società civile. Refugees Welcome Sweden è stata la prima organizzazione ad accogliere i rifugiati in Svezia, per aiutarli a ottenere l’asilo politico. Dal 2016, tuttavia, spiega Lohse, la politica e le norme sono cambiate in Svezia, dove c’è un partito di estrema destra molto influente: «è quasi impossibile avere il permesso di soggiorno nel nostro Paese e praticamente abbiamo chiuso le frontiere. Abbiamo quindi dovuto lavorare con rifugiati che si trovavano in Svezia in quel momento: ora non accogliamo più rifugiati da fuori, ci occupiamo della difesa dei diritti e dell'accoglienza di quelli che sono sul territorio».Ci sono molti minori non accompagnati arrivati nel 2015 o nel 2016 che si trovano in un limbo, spiega Lohse : «non possono avere il permesso di soggiorno in Svezia ma non possono neanche tornare nel loro Paese d’origine, che di solito è l’Afghanistan». (…) «La cosa più importante ora è avere alloggi per queste persone, e per questo lavoriamo con legali per dare loro assistenza». Infine Tobias Lohse sottolinea che c'è una legge in Svezia che dà diritto a un permesso temporaneo di soggiorno per l’istruzione degli adulti: «si può stare in Svezia per 13 mesi- la durata del corso- e si ottiene per questo periodo un visto speciale temporaneo per motivi di istruzione. Alla fine di questo percorso il richiedente asilo ha sei mesi per trovare lavoro o mezzi di sussistenza: cosa molto difficile ora per via del Covid 19. C’è il rischio che queste persone vengano rimpatriate».

Michael Shotter, direttore della direzione C “Migrazione, protezione e visa”, Dg Migrazione e Affari interni della Commissione europea, ha aperto la seconda sessione della conferenza, sottolineando come la Commissione riconosca il ruolo fondamentale della società civile. «Per questo è necessario finanziarla con il Fondo sociale europeo e altri strumenti». (…)«È importante che le ong siano coinvolte nel processo decisionale, per valutare le politiche da applicare», spiega Michael Shotter . Il Forum europeo della migrazione, piattaforma per il dialogo tra la società civile e le istituzioni europee su questioni relative alla migrazione, all'asilo e all'integrazione dei cittadini di paesi terzi, è uno strumento molto importante, afferma Shotter. E una volta che un richiedente asilo ottiene lo status di rifugiato, la Commissione può stanziare finanziamenti per l'integrazione dei rifugiati. «Siamo pronti ad aiutare la società civile fornendo rotte più sicure ai migranti, come i corridoi umanitari». Infine Michael Shotter nota come «la crisi ha mostrato quanto sia importante l’apporto dei migranti. La discussione a livello politico europeo verrà riformulata a partire da questa considerazione».

Eric Marquardt, membro del comitato sulle libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, ha parlato del campo profughi di Moria, nell’isola di Lesbo, «dove le ong cercano di colmare le lacune dello Stato e dove la politica non vuole che questa lacuna sia colmata. Si impedisce che si creino scuole a Moria e che le persone escano dal campo. Bisogna che i diritti umani siano rispettati nel Mediterraneo». Bisogna anche controllare come i vari Paesi usano i fondi, afferma. In Germania a volte per esempio si rimandano i tempi per non assegnare i fondi, dice Marquardt. Ci vuole maggiore trasparenza su come la Grecia e la Turchia, per esempio, usano i fondi. Ci sono state barche che sono state sabotate dalla guardia costiera greca. Nonostante le condizioni avverse durante la pandemia la società civile ha fatto delle cose incredibili. Dovrebbe essere compito dello Stato che è latitante.

Rossella Nicoletti, membro del Bureau dello European Migration Forum e rappresentante di Eurocities, ha affermato : «Come Eurocities lavoriamo alle principali sfide che le città devono affrontare ogni giorno. Il Covid 19 ha avuto un impatto notevole sulle città e sulle ong». (…) «Le città collaborano strettamente con la società civile e durante la pandemia questa collaborazione è stata ancora più fondamentale». Eurocities ha progetti finanziati da Amif, il fondo europeo che si occupa di asilo, migrazione e integrazione, e lavora con le città, che raccolgono le voci delle organizzazioni della società civile che operano sul campo. Queste ultime, che lavorano prevalentemente con i rifugiati, hanno dovuto affrontare difficili condizioni durante l'emergenza sanitaria. «Il ruolo dei migranti è stato essenziale durante la pandemia e ci sono molto esempi di cittadini e migranti che hanno lavorato insieme in ambiti essenziali, come medici, infermieri… » Osserva Rossella Nicoletti: «I migranti non sono solo beneficiari di servizi di sostegno, ci sono anche migranti che hanno fatto volontariato in settori come quello agricolo e che devono avere un ruolo attivo nella ripresa». Nicoletti ha parlato di Integrating cities, quest’anno al suo secondo anno, un progetto di Eurocities basato su attività di volontariato per promuovere l’integrazione dei migranti. Il volontariato ha un ruolo chiave e ha fatto sentire i migranti parte integrante della società.

Ha concluso i lavori Séamus Boland, presidente eletto del Diversity Europe Group del Cese, che ha rilevato come il lavoro delle organizzazioni della società civile non sia riconosciuto e se ne parli pochissimo. Questo nonostante molti europei siano essi stessi immigrati. Boland ha affermato che vorrebbe che nel prossimo mandato il Cese continuasse il lavoro con il Diversity Europe Group, per collaborare con varie istituzioni degli Stati membri sulla questione dei rifugiati.

Foto di apertura: Humanitarian Aid, by Skeeze/Pixabay.
Le altre foto sono del Comitato economico e sociale europeo (Cese)


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