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Education & Scuola

L’abbandono dei nostri figli

Un papà già da qualche giorno in zona arancione scuro racconta il tira e molla con la scuola del figlio, per fargli seguire le lezioni in presenza. Un giorno si può e poi non si può più e poi si può ancora e poi no... nonostante il ragazzo abbia bisogni educativi speciali. «Come possiamo fidarci di questo sistema?»

di Fabio Selini

Questa mattina ho abbandonato mio figlio.

Sì, lo ho abbandonato davanti allo schermo del mio smarthphone e me ne sono andato al lavoro. Di lì a poco anche mia moglie sarebbe partita per recarsi a “guadagnarsi la pagnotta”. Perché, come buona parte della gente, per vivere dobbiamo lavorare. Bellezza.

Mia figlia, per fortuna almeno diciottenne (da quando si possono lasciare minorenni a casa da soli?), nella stanza al piano di sotto a seguire la sua lezione DAD (o FAD? poco cambia).

Da qualche giorno siamo in Zona Arancione Rafforzata con la consapevolezza che il Rosso sarà il prossimo colore che frequenteremo e la fondata paura che le scuole rimarranno chiuse molto, molto, molto a lungo.

E proprio da qualche giorno è iniziato il penoso balletto della “presenza” in classe oppure no.

Mettiamo subito in chiaro le cose, mio figlio rientra nei BES (bisogni educativi speciali) e necessita di vicinanza da parte sia di un educatore che di un insegnante di sostegno. Così, mi sono illuso che questa sua condizione gli potesse permettere il privilegio di frequentare in presenza e non in DAD. Così è andata per i primi due giorni, poi è stato spedito a casa su indicazione dell’ATS locale. Tutti a casa, BES, figli di medici e infermieri e anche chi non ha possibilità di collegarsi in DAD.

Scrivo al Dirigente scolastico palesando le oggettive difficoltà di mio figlio di fronte all’ostacolo DAD, la necessità di vicinanza protesica, l'evidenza di noi genitori al lavoro, la follia di affidarlo ai nonni (soggetti a alto rischio infezione Covid19). La risposta arriva ed è riassumibile con un concetto: “… d’altro canto è così”. Amen!

Ovviamente mi incazzo, pur sapendo che non serve a nulla se non a garantirmi un po' di gastrite, e allo stesso tempo cerco soluzioni attraverso l'aiuto di soggetti esterni come l’insegnante che aiuta mio figlio a fare i compiti al pomeriggio. “Dimmi che almeno ci sei tu, altrimenti è un disastro”.

Trascorso un giorno e mezzo nel quale non collego mio figlio alla DAD, ecco che arriva una circolare nella quale mi si chiede di esprimere l’adesione alla possibilità di ri-inseririre mio figlio in presenza. Ovviamente lo faccio immediatamente e il giorno dopo mio figlio è a scuola. Mi sento sollevato, in classe c’è lui, un suo compagno e l’insegnante di sostegno. Distanze e presidi rispettati, finestre aperte. Ma il sogno dura ventiquattro ore. Finita la lezione ecco che arriva l’ennesima mazzata, il comunicato della scuola che dichiara l’impossibilità a proseguire le lezioni in presenza per i ragazzi con i BES.

A casa, davanti a uno schermo, senza aiuto e vicinanza … con Classroom che travolge il telefonino di valanghe di “compiti a casa”. Mi incazzo di nuovo (gastrite!!!), scrivo al Dirigente di nuovo, paleso tutte le mie perplessità e perché no, paure. La paura che mio figlio riviva l’esperienza fallimentare dello scorso anno. Lasciato solo a vivacchiare mentre la scuola era serrata, lasciato solo a smarrire quel poco che aveva faticosamente acquisito.

L’idea che ritorni a quei livelli dopo i grandi progressi di questi mesi mi devasta l’anima. Non è accettabile oltre che ingiusto. Ovviamente ricevo la versione 2.0 di “… d’altro canto è così”. Amen!

Capisco che non c’è nulla da fare, che nonostante siano trascorsi dodici mesi, non vi sono automatismi organizzativi per supportare gli studenti BES. Quando chiedo ricevo un “vediamo cosa si può fare” o di nuovo un “… d’altro canto è così". Cedo e decido di collegare mio figlio alla DAD pur ritenendolo sostanzialmente poco utile; se quando sei in classe hai bisogno di un professionista accanto che ti aiuti a comprendere la lezione, come fai a capirci qualcosa tutto solo davanti ad uno schermo? Però lui ci tiene a non sentirsi diverso e vuole seguire la DAD. Come dargli torto?

Così la mattina seguente, vado al lavoro incaricando mia moglie che s’è ritagliata qualche ora buca e mia figlia che ha pure lei DAD (fa addirittura laboratorio di pasticceria nella nostra cucina!) di aiutare il piccolo almeno nel collegamento. Il nostro PC e il tablet non permettono il collegamento, mi annunciano dopo ore di tentativi.

“Lascia stare, vai a giocare. Risolviamo domani”, tranquillizzo mio figlio tutt’altro che tranquillo. Così stamani prendo qualche ora di permesso e tento di collegarmi. Niente da fare, supporti non più adeguati e app che non si scaricano o non si aggiornano più. Ultima spiaggia, il mio telefono personale.

Mi collego e finalmente mio figlio vede la faccia sorridente dell’insegnante, si salutano. Bacio mio figlio, saluto il prof e scappo non prima di aver istruito mia figlia alla “vigilanza passiva” di suo fratello. “Mi raccomando aiutalo se salta il collegamento o ti chiede altro, ma per il resto stagli distante altrimenti litigate”, dico. Le stampo un bacio sulla fronte e fuggo.

Eccomi in auto, senza il mio smathphone, per fortuna non mi serve per questioni di lavoro, a domandarmi come andrà. Senza la possibilità di fare qualsivoglia cosa se non aspettare, senza nemmeno poter mandare un messaggio e chiedere “Come procede la lezione?”.

Senza alcuna possibilità di aiutare mio figlio! L’immagine fissa di lui solo nella sua stanza con davanti uno schermo e… e niente più.

Senza alcuna possibilità di fidarmi di un sistema che dovrebbe proteggere, educare ed istruire. Come si fa a non avere paura e non temere per il futuro dei nostri figli?

Photo by marco fileccia on Unsplash


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