Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Autismo: una proposta (fattibile) di revisione del sistema

Interventi che vengono attivati tardi, famiglie senza supporto, scuole senza strumenti: così, crescendo, i bambini con autismo sviluppano i "comportamenti problema" che ancora oggi troppo spesso portano alla istituzionalizzazione. Dare sostegno alla famiglia e alla scuola, con un intervento di abilitazione precoce in ambiente domestico, permetterebbe invece di preparare davvero i ragazzi alla vita indipendente

di Alessandro Braccili* e Claudia Nicchiniello

Alessandro Braccili e Claudia Nicchiniello firmano un contributo sui diritti delle persone con autismo nell’ambito dell’articolo 23 della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità, quello relativo al “Rispetto del domicilio e della famiglia”. In questo senso, secondo gli autori, l’intervento di abilitazione precoce in ambiente domestico con il sostegno alla famiglia si configura come diritto fondamentale. L'intervento precoce in ambiente di vita rappresenta ad oggi l'unica vera chance che hanno le persone con autismo di essere pronte alla de-istituzionalizzazione. Di seguito il testo, inviato anche alla CRC Committee in vista della General Discussion "Children’s Rights and Alternative Care" del 16-17 settembre 2021 (ndr)


L’impatto delle problematiche concernenti l’autismo nel sistema familiare, comunitario e sociale non può essere sottovalutato. L’autismo, come è noto, genera un alto tasso di stress familiare, sui caregiver e sui sibling ma anche – e in primo luogo – sulla vita del bambino (e del futuro adulto) colpito da questa problematica.

Le problematiche

Proponiamo una sintesi della situazione attuale e delle problematiche individuate:

  • La diagnosi di autismo non è sempre tempestiva e questo può portare ad un ritardo nell’attivazione dell’intervento.
  • Quando i famigliari si rendono conto che il loro figlio/figlia ha un problema legato all’autismo non vengono adeguatamente supportati nella vita quotidiana dal proprio sistema sanitario. Anche se, a volte, professionisti meritevoli offrono un aiuto, l’intervento è quantomeno frammentario e non riesce a generare reali miglioramenti.
  • Il sistema scuola, nonostante la volontà di includere e sostenere questo studente “speciale”, non ha i mezzi e non gli vengono fornite le competenze per raggiungere i suoi obiettivi. Questo produce stress e insoddisfazione da parte degli insegnanti, percezione soggettiva di fallimento e di inutilità, dissidi tra scuola e famiglia. Quest’ultimo fenomeno, cioè le discordie che nascono tra le figure genitoriali e quelle professionali della scuola, è particolarmente doloroso, in quanto entrambi questi attori sono motivati dallo stesso obiettivo finale (il benessere e il miglioramento della abilità del bambino), ma finiscono per contrastarsi a vicenda perché a nessuno dei due, in realtà, sono stati forniti gli strumenti per agire in modo efficace di fronte ad una problematica così complessa.

La gestione quotidiana della persona con autismo può diventare sempre più difficoltosa e necessitare di una rimozione del soggetto dal suo ambiente di vita. Una volta che i comportamenti disadattivi si sono verificati con costanza per un periodo medio-lungo sarà sempre più difficile farli diminuire in maniera veramente efficace. Pertanto, l’arma principale che abbiamo è prevenirli il più possibile, offrendo a tutti gli attori coinvolti nella vita del bambino gli strumenti utili a fare in modo che tali comportamenti non si manifestino.

  • Il sistema sanitario offre dei servizi dedicati all’autismo che sono molto variabili a seconda dei diversi territori, e che oscillano tra una qualità chiaramente non sufficiente ad una buona e a volte alta efficacia. Ma in quest’ultimo caso (non il più frequente, purtroppo), le risorse poste in campo non permettono una reale presa in carico globale del bambino e della famiglia.
  • Quel che è peggio è che questi sistemi – scuola, centri sanitari ecc… – sono spesso o quasi sempre delle “monadi” che soffrono di una mancanza di coordinazione reciproca. Ciò crea un senso di confusione nelle figure genitoriali e, in generale, nella famiglia del bambino con autismo.
  • Inoltre, ed è un fenomeno al quale si è assistito nel passato e a cui si assiste ancora oggi, molti “comportamenti problema” del bambino nascono proprio per la mancanza di guida costante alla famiglia ed alla scuola. Questi comportamenti distruggono la coesione del bambino (e dell’adulto) affetto da autismo con il suo ambiente, interferiscono con le sue possibilità di apprendimento, con la socializzazione con i pari, e rendono difficile la sua permanenza nella realtà famigliare. Infatti, la gestione quotidiana della persona con autismo può diventare sempre più difficoltosa e necessitare di una rimozione del soggetto dal suo ambiente di vita. Una volta che i comportamenti disadattivi si sono verificati con costanza per un periodo medio-lungo sarà sempre più difficile farli diminuire in maniera veramente efficace. Pertanto, l’ “arma” principale che abbiamo in questo settore è prevenirli il più possibile, offrendo a tutti gli attori coinvolti nella vita del bambino gli strumenti utili a fare in modo che tali comportamenti non si manifestino in primo luogo.

Una proposta di soluzione

A questa sintetica “fotografia” della realtà attuale facciamo seguire una proposta di soluzione che, sebbene necessiti di un mutamento di alcune prassi attuali, non è assolutamente fuori dalla possibilità operativa che abbiamo.

Una abbondante letteratura scientifica sugli interventi nell’autismo stabilisce che gli interventi basati sull’ABA (Applied Behavior Analysis) sono efficaci nell’autismo, sia nel diminuire i comportamenti problema sia nell’insegnare nuove abilità. Muovendoci in questa cornice si possono riassumere le seguenti proposte operative:

  • Quando una famiglia riceve una diagnosi (anche non “certa”) di autismo riguardante il proprio figlio/figlia, bisogna subito attivare una figura specializzata che si occuperà di seguire il caso nella sua totalità. Questa figura deve essere un analista del comportamento (molto meglio se dotato di una certificazione internazionale BCBA) con le competenze teoriche e cliniche per poter realizzare un programma individualizzato per il bambino, realizzare una valutazione funzionale per gli eventuali comportamenti problema, dare training completo ed efficace alle figure famigliari e scolastiche. Questa figura, che dipenderà direttamente dal sistema sanitario, sarà coadiuvata da una équipe multidisciplinare che lo appoggerà in ogni fase del suo lavoro. D’ora in poi, per brevità, chiameremo questa figura “supervisore”.
  • La famiglia riceverà da subito un training di alta qualità da parte del supervisore. L’obiettivo di questo insegnamento sarà di fornire una “educazione comportamentale di base” ai genitori che permetterà loro di interagire positivamente e proficuamente con il loro figlio, comprendere meglio il proprio figlio e i suoi comportamenti, sapere come è giusto agire nelle diverse situazioni della vita di tutti i giorni: come stimolare la sua comunicazione, come gestire i comportamenti problema e come evitare che insorgano. In una parola: essere i protagonisti dello sviluppo del proprio figlio.
  • Questo training sarà molto “pratico”, con i genitori che saranno chiamati ad interagire direttamente con i loro figli sotto la direzione del supervisore. In questo caso il modello del Behavior Skill Training può risultare molto utile.
  • È essenziale che questo training avvenga il più presto possibile, quando i bambini sono piccoli e più facilmente gestibili e quando i genitori hanno la piena energia per essere soggetti a queste indicazioni. Infatti, dopo mesi o anni di interazione con i loro figli messa in atto senza una guida e senza un aiuto, i genitori sono sempre più “logorati” e sempre meno in grado di mettere in pratica le indicazioni ricevute.
  • Inoltre, come accennato nella parte iniziale, un intervento precoce riduce l’incidenza futura dei comportamenti problema, in quanto questi non si manifesteranno in primo luogo o si presenteranno in forme meno severe. È essenziale che i genitori acquisiscano subito la consapevolezza che i comportamenti inappropriati del loro figlio (come tutti i comportamenti) hanno un “significato” e non sono eventi insensati e casuali.
  • Il training diretto alla famiglia è di fondamentale importanza ma, anche quando le figure genitoriali hanno le energie necessarie per mettere in atto le indicazioni ricevute, non è semplice perseguirle nella maniera costante e precisa che è necessaria per la loro efficacia. È fondamentale che i genitori siano affiancati per un numero congruo di ore, direttamente nella loro casa, da un tecnico del comportamento (meglio se con certificazione RBT) che li aiuti a mettere in atto il programma concordato e che possa fornire loro un training costante seguendo le direttive del supervisore. Sarà appannaggio del tecnico del comportamento, inoltre, mettere in atto le procedure di insegnamento più complesse e professionali che fanno parte del programma.
  • Oltre al tecnico del comportamento è importante che le famiglie possono essere proficuamente assistite, nella vita quotidiana, da figure meno specializzate, che possono offrire un aiuto e, a volte, un “sollievo”, alla vita famigliare. La condizione essenziale è che queste figure siano formate e monitorate dal supervisore e dal tecnico del comportamento, in modo da comprendere come muoversi e cosa fare nelle diverse situazioni quotidiane con il bambino.
  • La scuola deve essere la beneficiaria di un insegnamento approfondito e di alta qualità sull’autismo e sulle logiche che sono alla base dell’intervento. Questo training deve essere svolto da agenzie appositamente incaricate, che soddisfino dei requisiti stringenti di formazione, e deve essere coadiuvato dal supervisore incaricato di seguire il bambino. È fondamentale che l’insegnamento non sia soltanto teorico (sarebbe largamente inefficace) ma pratico, con ampio uso del role-play e con conseguente attuazione dei contenuti appresi direttamente con i bambini seguiti. Chi fornisce il corso ed il supervisore incaricato si accerteranno che gli insegnanti apprendano efficacemente e mettano in pratica le procedure descritte nel programma direttamente con il bambino, sotto la loro guida. Ogni insegnante ha il diritto di entrare in possesso degli strumenti e delle competenze che gli permettano di seguire il proprio allievo in maniera professionali ed efficace: la formazione appena descritta ha lo scopo di fornire proprio queste abilità.

È fondamentale che la figura del supervisore sia dotata dell’autorità per poter “dirigere” il programma del bambino in ogni ambiente. Venendo meno questo requisito si tornerebbe alla situazione di instabilità precedente, in cui ogni agenzia svolgeva la propria attività indipendentemente dalle altre

  • Il supervisore si farà carico di coordinare anche il programma che il bambino seguirà direttamente in un centro specializzato. Qui può essere seguito dallo stesso tecnico del comportamento che lo segue a casa e/o da altri con lo stesso training. Se il centro è dotato di un proprio analista del comportamento sarà facilissimo concordare le strategie di azione con il supervisore. E, spesso, il supervisore che segue il bambino a casa sarà la stessa persona che lo segue al centro.
  • Svolgere parte del lavoro educativo anche all’interno di un centro può essere utile per diverse ragioni: il supervisore può osservare il bambino in un contesto più “semplice” di quello presente nella vita quotidiana e, nel centro, sono presenti materiali e stimoli che non è possibile trovare a casa.

Considerazioni generali

Oltre ai punti prima illustrati è utile elencare alcune considerazioni generali che accomunano tutto il progetto appena proposto.

  • La figura del supervisore: è fondamentale che sia dotata dell’autorità per poter “dirigere” il programma del bambino in ogni ambiente. Venendo meno questo requisito si tornerebbe alla situazione di instabilità precedente, in cui ogni agenzia svolgeva la propria attività indipendentemente dalle altre. È da ricordare che il supervisore è comunque coadiuvato da una équipe e che fa parte del suo training di analista del comportamento la capacità di coinvolgere nel programma tutti gli attori, manifestando apertura per ogni proposta ed ogni idea. Inoltre, quando il supervisore non dovesse dimostrarsi all’altezza del compito potrebbe essere subito sostituito.
  • Proprio perché si è realizzata questa infrastruttura così estesa e pervasiva è ora possibile affrontare veramente il tema degli “obiettivi di vita” per la persona con autismo. È essenziale che i genitori, coadiuvati e consigliati dal supervisore e dalle altre figure che ruotano intorno al bambino, scelgano gli obiettivi per il figlio. In altre parole, è alla figura genitoriale principalmente che spetta il compito di decidere quali obiettivi si pongono per il loro figlio, ed è compito di tutte le altre figure aiutare loro e il bambino a raggiungerli. Gli obiettivi saranno chiari ed oggettivi, in modo che sarà facile controllare se il programma sta sortendo gli effetti sperati e se si è nella giusta direzione.
  • Insieme alla scelta degli obiettivi è opportuno che ai genitori venga fornito un quadro realistico e sincero della situazione del figlio, in modo da scegliere obiettivi che siano perseguibili e che migliorino la sua vita, ma senza in alcun modo sbilanciarsi in promesse che non è certo possano essere mantenute. D’altro canto, è importante che genitori e altre figure che sono vicine al bambino sappiano che c’è un rapporto diretto tra il lavoro e l’impegno che sarà dedicato al programma e i progressi del bambino. In altre parole, non si deve essere passivi, perché “possiamo fare tanto” per lui.

Per seguire un bambino (o un adulto) con autismo, non c’è bisogno sempre di figure ad alta specializzazione, con anni di training: quello che conta è che queste figure specializzate conoscano di persona e per diverso tempo il bambino, che realizzino il suo programma e che offrano training “diretto” alle figure non specializzate.

  • Una ulteriore precisazione va fatta sul ruolo delle figure a “media e bassa specializzazione” che sono state citate prima. Il tecnico del comportamento può essere considerato una figura a media specializzazione, in quanto possiede abilità teoriche e pratiche di buon livello che gli permettono di mettere in atto il programma di un supervisore. In altre parole, il “tecnico” è un paraprofessional, cioè un professionista che supporta un altro professionista (il supervisore). La preziosità di questa figura è costituita del fatto che mentre il training necessario per la sua formazione non è particolarmente oneroso, l’efficacia dei suoi interventi è molto alta, in quanto, per le regole stesse della sua professione, può operare soltanto se riceve supervisione diretta e costante da parte del supervisore. In questo modo l’intervento del supervisore può “moltiplicarsi” grazie all’azione del tecnico, mantenendo la sua qualità. Questa “suddivisione del lavoro”, a volte, si pone come innovativa rispetto a delle pratiche in uso in campi come questo, e non sempre l’efficienza di questa modalità operativa viene subito apprezzata. Essa è, invece, uno dei cardini del sistema appena descritto: un programma ben realizzato da un professionista dotato di anni di esperienza e di training, può essere messo in atto con efficacia da figure appositamente formate a questo scopo, anche se queste figure possiedono soltanto una parte delle competenze di un supervisore.
  • Infine, ci sono da considerare le figure a “bassa formazione” citate prima. Persone che non hanno nessuna formazione specifica. Essi: possono essere molto rilevanti per il sistema proposto, in quanto la formazione pratica e diretta che ricevono dal supervisore li mette in grado di avere un rapporto positivo con il bambino. In altre parole: per seguire un bambino (o un adulto) con autismo, non c’è bisogno sempre di figure ad alta specializzazione, con anni di training, che non sono mai molto numerose: quello che conta è che queste figure specializzate conoscano di persona e per diverso tempo il bambino, che realizzino il suo programma e che offrano training “diretto” alle figure non specializzate. In questo modo tutto il sistema diventa anche meno oneroso ed offre, come conseguenza accidentale ma virtuosa, anche una possibilità di impiego a figure a minor formazione.

Riferimenti:

Cohen, H., Amerine-Dickens, M., & Smith, T. (2006). Early intensive behavioral treatment: Replication of the UCLA model in a community setting. Developmental and Behavioral Pediatrics, 27, S145-S155.

Eikeseth, S. (2009). Outcome of comprehensive psycho-educational interventions for young children with autism. Research in Developmental Disabilities, 30, 158-178.

Eikeseth, S., Smith, T., Jahr, E., & Eldevik, S. (2002). Intensive behavioral treatment at school for 4- to 7-year-old children with autism: A 1-year comparison controlled study. Behavior Modification, 26, 46-68.

Eldevik, S., Hastings, R. P., Hughes, J. C., Jahr, E., Eikeseth, S., & Cross, S. (2010). Using participant data to extend the evidence base for intensive behavioral intervention for children with autism. American Journal on Intellectual and Developmental Disabilities, 115, 381-405.

Eldevik, S., Hastings, R. P., Hughes, J. C., Jahr, E., Eikeseth, S., & Cross, S. (2009). Analysis of early intensive behavioral intervention for children with autism. Journal of Clinical Child and Adolescent Psychology, 38, 439-450.

Foxx, R. M. (2008). Applied behavior analysis treatment of autism: The state of the art. Child and Adolescent Psychiatric Clinics of North America, 17, 821-834.

Green, G., Brennan, L. C., & Fein, D. (2002). Intensive behavioral treatment for a toddler at high risk for autism. Behavior Modification, 26, 69-102.

Hanley, G. P., Iwata, B. A., & McCord, B. E. (2003). Functional analysis of problem behavior: A review. Journal of Applied Behavior Analysis, 36, 147-185.

Howard, J. S., Sparkman, C. R., Cohen, H. G., Green, G., & Stanislaw, H. (2005). A comparison of intensive behavior analytic and eclectic treatments for young children with autism. Research in Developmental Disabilities, 26, 359-383.

Lovaas, O. I. (1987). Behavioral treatment and normal educational and intellectual functioning in young autistic children. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 55, 3-9.

Matson, J. L., Benavidez, D. A., Compton, L. S., Paclawskyj, T., & Baglio, C. (1996). Behavioral treatment of autistic persons: A review of research from 1980 to the present. Research in Developmental Disabilities, 17, 433-465.

McEachin, J. J., Smith, T., & Lovaas, O. I. (1993). Long-term outcome for children with autism who received early intensive behavioral treatment. American Journal on Mental Retardation, 97, 359-372.

Sallows, G. O., & Graupner, T. D. (2005). Intensive behavioral treatment for children with autism: Four-year outcome and predictors. American Journal on Mental Retardation, 110, 417-438.

Virués-Ortega, J. (2010). Applied behavior analytic intervention for autism in early childhood: Meta-analysis, metaregression and dose–response meta-analysis of multiple outcomes. Clinical Psychology Review, 30, 387-399.

Wong, C., Odom, S. L., Hume, K., Cox, A. W., Fettig, A., Kucharczyk, S. et al. (2013). Evidence-based practices for children, youth, and young adults with autism spectrum disorder. Chapel Hill, NC: The University of North Carolina, Frank Porter Graham Child Development Institute, Autism Evidence-Based Practice Review Group.

*Alessandro Braccili, Fondazione Piccola Opera Charitas e padre;

** Claudia Nicchiniello, ANGSA Campania e madre

Photo by Julietta Watson on Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA