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Amare, cioè mettersi in gioco

Una comunità marchigiana apre le porte per un appuntamento che tradizionalmente attira centinaia di persone. È l’Ama-Festival, promosso dalla cooperativa Ama Aquilone, che si è svolto, che si è concluso ieri, nello scenario stupendo delle colline marchigiane. Una due giorni di spettacoli e di riflessioni. Intervista al presidente Francesco Cicchi

di Giuseppe Frangi

Dopo due anni di forzata sospensione la cooperativa Ama Aquilone riprende la tradizione del suo Festival estivo: un appuntamento che porta sulle colline ascolane dove la comunità ha la sua sede principale, centinaia di persone. Il tema di quest’anno ha a che vedere con il nome stesso. Con 40 anni storia alle spalle Ama Aquilone è diventata una delle realtà più rappresentative delle Marche. La Cooperativa gestisce nel Piceno strutture residenziali denominate "Case", nella prospettiva di un’accoglienza ampia che, pur mantenendo la sua specificità terapeutica, abbraccia un’idea di dignità intimamente legata all’incontro umano, e una serie di alloggi per adulti in difficoltà.

Il Festival quest’anno prende il suo titolo dal nome stesso della cooperativa: “Ama!” è infatti il verbo attorno al quale si svilupperanno incontri e anche spettacoli. Momento di riflessione clou è stato quello con Vittorino Andreoli, svoltosi domenica (sul sito, prossimamente, alcuni riscontri). A Francesco Cicchi, presidente di Ama-Aquilone abbiamo chiesto di raccontare il Festival e le sue ragioni

Da dove scaturisce la scelta di un titolo come questo?

Era stato pensato come leit motiv per i 40 anni della cooperativa, che purtroppo sono caduti durante la lunga e dura parentesi del Covid: riconoscere nel nome un’ipotesi di lavoro aperta per la vita nostra e di tutti. Una ragion d’essere. Non è un sostantivo, come potrebbe essere “amore”, ma un verbo, che per sua natura invita all’azione, ad entrare in gioco. “Ama e fa ciò che vuoi”, ha scritto Agostino. Quindi l’intento era quello di andare oltre la retorica dei buoni sentimenti e spingere ciascuno a questa sfida meravigliosa. Vorrei anche sottolineare che questo titolo comprende anche un’accezione importante, da cui addirittura partire: “àmati!”. Bisogna partire da se stessi, dal volersi bene per capire quanto è importante mettere il proprio io in relazione con il bene che viene dagli altri, ma anche dalle cose che ci circondano.

C’era anche un messaggio culturale in questo titolo?

Certamente. È la ragione stessa per cui abbiamo proposto il Festival, che è un appuntamento importante per noi già per il semplice motivo di aprire il luogo della comunità al pubblico esterno. La comunità non è un luogo fuori dal mondo e il pubblico venendo per gli appuntamenti proposti dal Festival se ne può rendere conto. In secondo luogo, il Festival è importante perché è lo sforzo di dimostrare che si può fare cultura con il sociale. È un fare cultura che non dispensa certezze ma che di “insidia” con le domande, che semina dubbi costruttivi. Ecco il Festival è una situazione che dispensa domande. Perché le domande sono più costruttive, più culturalmente attive delle risposte.

Un’altra parola che è molto importante per la storia della cooperativa è “bellezza”. Che nesso c’è tra l“Ama!” del titolo e la bellezza?

Non c’è nulla di più bello dell’azione espressa e auspicata dal verbo “Ama”! La bellezza è una dimensione dinamica, non è fine a se stessa. Per questo genera parole dinamiche, mette in azione. Non bisogna ingabbiare la bellezza dentro dei canoni. La bellezza può essere dappertutto, anche nelle situazioni più dure e drammatiche. Qualche anno fa avevamo messo come titolo al Festiva, “Incurabile bellezza”, proprio ad indicare che nelle biografie più segnate dalla durezza della vita e dal dolore si nasconde sempre un nucleo di bellezza. Lo abbiamo detto anche a proposito del terremoto, che è stata esperienza drammatica per queste nostre terre. Bisogna guardare anche alle situazioni più brutte con la convinzione che possa scaturire una scheggia di bellezza. È come un miracolo: accade se sei disposto ad accoglierlo.

Il contesto del resto è un invito a capire il valore della bellezza…

Certamente. Anche se a me piace citare Rilke, quando dice che ci si veste di ciò che ci si spoglia. È davanti alla nudità delle cose che scatta l’esperienza della meraviglia, e quindi si tocca con mano cosa una bellezza capace di generare azioni e modi di essere nuovi.


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