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Cooperazione & Relazioni internazionali

Muhammad, reporter ragazzino: «La mia Siria fra guerra e terremoto»

Muhammad Najem si è fatto conoscere internazionalmente nel mezzo della guerra civile siriana come adolescente di Ghouta che raccontava gli orrori di quel conflitto. Oggi, 20enne, rifugiato a Istambul, è una delle poche voci che documenta le distruzioni del sisma nella sua terra d'origine. «Sogno di tornare in una Siria finalmente libera»

di Agnese Palmucci

«La bambina che vedete è stata appena salvata dalle macerie. Racconta di aver sofferto molto, ma di non aver mai smesso di pregare». In uno degli ultimi post di ieri, sulle sue pagine social, Muhammad ha pubblicato il volto di una bambina siriana, ancora sporco della terra da cui era stata appena estratta. «Ci credi che gli aiuti umanitari ancora faticano ad arrivare in Siria? A Idlib pochi giorni fa ancora non era entrata neppure una bottiglia d’acqua», ha raccontato Muhammad Najem, appena 20enne, via Whatsapp. Lui è di Ghouta, enclave nella periferia di Damasco, e da quando aveva quattordici anni, come un reporter, documenta la tragedia della guerra civile nella sua terra. «Il terremoto è stato una catastrofe sulla catastrofe per la Siria, martoriata dal 2011 dagli scontri interni», ha aggiunto, deciso. Nella foto profilo, il suo volto da bambino spicca davanti alle macerie del suo quartiere. Oggi Muhammad vive da rifugiato a Istanbul con la sua famiglia, fuggita da Ghouta nel 2019 per scappare dalle bombe di Bashar Al-Assad. Il ragazzo continua a pubblicare sui social foto e video del suo Paese piegato dal terremoto, raccogliendo materiale dai suoi conoscenti sul posto.

Il sisma è stato l’ennesima atroce ferita per la Siria. Tra tutte quelle che stai raccontando, qual è stata la storia che ti ha colpito di più?

«Ciò a cui stiamo assistendo in Siria è catastrofico. La situazione era già incredibilmente spaventosa, e ora il sisma ha causato migliaia di altre vittime, migliaia di feriti. In più le capacità di salvataggio nel mio Paese sono molto limitate, mancano gli strumenti. Ci sono state moltissime storie strazianti, come quelle dei bambini salvati dalle macerie senza le loro famiglie, senza che si potessero rendere conto di aver perso i propri cari. Molti hanno subito traumi psicologici. Il pensiero di cosa proveranno quando cresceranno mi spezza davvero il cuore».

Qual è la tua storia Muhammad? Quando hai deciso di iniziare a raccontare cosa succede nel tuo Paese? E perché?

«Ciò che ho visto e vissuto a Ghouta orientale è stato molto doloroso. Tutti soffrivano, tutti affrontavano situazioni drammatiche a causa della guerra, e in più c’erano povertà e fame. Il mio senso di responsabilità e la mia fiducia nella mia telecamera, mi hanno motivato a catturare le atrocità che vedevo, per raccontare a tutti la dura realtà che stavamo affrontando. Nel 2017 ho iniziato a documentare quello che accadeva attorno a me, con video e foto durante i bombardamenti e gli attacchi aerei. Ora la situazione in Siria è abbastanza “calma”, se così si può dire quando ci sono bombardamenti regolari e le vittime sono all’ordine del giorno. Però la buona notizia è che hanno iniziato a diffondersi rapporti con nuove prove dell'uso di armi chimiche da parte del regime di Assad contro la sua gente, e le persone all'estero hanno iniziato a saperne di più sulle violenze di questo regime brutale».

Tu nel 2013 eri a Ghouta quando Assad bombardò la città con bombe al gas nervino…

«Sì, ero lì e ricordo ogni cosa. Non posso dimenticare quella tragedia. Soffro d’asma per colpa di quell’attacco, avevo solo undici anni. Ricordo che tutto era diventato giallo, l’aria era gialla. Ricordo anche gli animali agonizzanti ai bordi delle strade…».

Ora come continui il tuo lavoro?

«Dal 2019 vivo in Turchia, a Istanbul. Sto continuando a studiare, e la mia attenzione ora non è più solo sulla situazione siriana, ma anche sulle questioni relative ai bambini, ai loro diritti e ai diritti umani in generale, in tutto il mondo. Credo che la voce di ogni persona che vive difficoltà dovrebbe essere ascoltata, non importa dove si trovi. Per questo da grande vorrei essere un giornalista e continuare a fare quello che sto facendo da anni. Sogno di andare anche all’università, perché qui ora, da profugo, non posso farlo».

Sei così giovane Muhammad. Non hai paura di raccontare tutto questo dolore? Cosa ti spinge?

«Questo ragazzo sta facendo del suo meglio per cambiare le cose. Questo ragazzo ha un grande sogno nel cuore, quello di portare un atomo di pace nel nostro mondo. E quando lavoriamo per ciò che amiamo, per realizzare i nostri sogni, la parola “paura” esce dal nostro vocabolario. E poi sappiamo tutti che niente è semplice. La strada per ogni grande obiettivo è lastricata di pericoli, ma questo io l'ho accettato. La paura non è un ostacolo per continuare il cammino verso un mondo migliore, dove prevalgono la pace e l'amore. Sogno di tornare in una Siria finalmente libera».


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