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«Conosco l’anoressia. L’ho attraversata a 16 anni. Con Animenta aiuto i giovani»

A 16 anni Aurora Caporossi si è ammalata di anoressia nervosa e a 24 ha fondato Animenta. «L’associazione nasce per testimoniare che da un disturbo alimentare si può guarire. A patto di offrire cure adeguate e tempestive. Si muore quando un disturbo non viene visto in tempo, quando si allungano le liste di attesa, quando si manda qualcuno a casa perché "non è ancora grave". Perché c’è forse una unità di misura per pesare il dolore?»

di Sabina Pignataro

«Non ricordo con precisione quando tutto è cominciato, ricordo però il freddo glaciale che non passava mai, ricordo di me che provavo a coprirmi ma nulla in nessun modo riusciva a riscaldarmi. Ecco se dovessi cominciare a raccontare la mia storia con i disturbi alimentari comincerei da qui, da quella sensazione di freddo che non passava mai». A parlare è Aurora Caporossi, che a 16 anni si è ammalata di anoressia nervosa e a 24 ha fondato Animenta, un’associazione che si occupa di attività di informazione e supporto per tutti coloro che si trovano a vivere un disturbo del comportamento alimentare e per chi “vive accanto”.

«Dopo che mi sono ammalata, e negli anni successivi, mi sono chiesta e mi hanno chiesto, diverse volte, che cosa significhi (per davvero) soffrire di Disturbi del Comportamento Alimentare. Ci ho messo quasi 5 anni per rispondere a questa domanda, e ancora oggi, che di anni ne sono passati 7, non so se la risposta possa essere corretta».

«La malattia è entrata in casa mia in punta di pieni e piano piano ha cominciato a contaminare ogni cosa», racconta. «Giorno dopo giorno si presentava con la sua invadenza davanti a tutti, ma nessuno riusciva a vederla. L’unica persona che si accorse, prima di tutti, che io non stavo bene fu mia mamma. Cominciammo a fare le prime visite, mi ricordo che le chiesi di voler perdere peso, così non mi piacevo più. Ci rivolgemmo a dei professionisti esperti in alimentazione. Il piano che mi davano era sempre “troppo” rispetto a quello che volevo io. Cominciai così a fare di testa mia e più dimagrivo più gli altri si accorgevano di me, più si complimentavano con me perché ora “stavo proprio bene.” Mia mamma un po’ di tempo fa mi ha raccontato che io tra quei commenti ci ballavo, perché le cose cominciavano ad andare nel verso giusto».

Rileggendo quei momenti con l’esperienza oggi, Aurora osserva «mi ero illusa che se avessi controllato il cibo e il corpo, sarei riuscita a controllare tutto il resto. E fu proprio in quell’esatto momento che loro cominciarono a controllare me. Ogni aspetto della mia vita cominciava ad essere contaminato da un’ossessione sul corpo e sul cibo. Più passava il tempo più questa macchia si ingrandiva».

Nessuno si accorse di questa “macchia” fino a quando divenne impossibile non vederla più. «Me li ricordo ancora gli occhi delle persone che mi fissavo, sentivo che erano capaci di entrarti fin sotto la pelle e leggere ogni segreto. Nessuno se ne accorse prima perché non ero ancora sottopeso, non ero ancora un sottopeso grave. Lo trattarono come un capriccio adolescenziale, come una moda che sarebbe passata. Era in realtà l’anoressia nervosa». È da questo punto esatto e dalla convergenza con tutte le storie che raccontano di un disturbo alimentare che nasce Animenta. L’obiettivo è quello di decostruire gli stereotipi e i falsi miti che hanno caratterizzato per troppo tempo queste patologie.

«Un disturbo alimentare è un grido di aiuto che non riesce ad essere espresso a voce, è un grido silente che trova nel rapporto con il cibo la sua espressione, la sua voce mancata. Il problema non è nel cibo di per sé, ma nel modo in cui comincia ad essere letto da chi soffre di un disturbo alimentare. I disturbi alimentari sono patologie psichiatriche complesse che non riguardano solo il corpo, il cibo e il peso. Questi tre aspetti e il loro cambiamento sono l’espressione sintomatologica di un disagio più profondo», sottolinea.

Un disturbo alimentare è un grido di aiuto che non riesce ad essere espresso a voce, è un grido silente che trova nel rapporto con il cibo la sua espressione, la sua voce mancata. Il problema non è nel cibo di per sé, ma nel modo in cui comincia ad essere letto da chi soffre di un disturbo alimentare

Aurora Caporossi

«Animenta nasce come luogo in cui ogni storia è accolta e il giudizio è bandito, nasce per testimoniare la cosa più importante: da un disturbo alimentare si può guarire. Una guarigione che è possibile se offriamo delle cure adeguate e tempestive su tutto il territorio nazionale. Ma c’è anche un altro lato della medaglia quello per cui è davvero fondamentale creare una rete tra associazioni, professionisti, istituzioni, centri per la cura: di disturbi alimentari si muore. Si muore quando un Dca non viene visto in tempo, quando si allungano le liste di attesa per i centri, quando si manda qualcuno a casa perché "non è ancora grave". Perché c’è forse una unità di misura per pesare il dolore?».

Oggi si manda a casa qualcuno perché "non è ancora grave". C’è forse una unità di misura per pesare il dolore?

Aurora Caporossi

Se è vero che oggi si parla più spesso dei Disturbi del Comportamento Alimentare e ne parla di più, è anche vero che non sempre ciò che leggiamo è scritto con etica e consapevolezza. «Con Animenta lavoriamo sulla qualità delle informazioni che riceviamo e su come noi possiamo parlare di qualcosa. Su come rendere anche le singole esperienze d'aiuto per tutti», osserva la presidente. «Fare corretta informazione, significa fare prevenzione. Significa costruire occasioni per legittimare ognuno di noi alle cure a prescindere dall’età, dal sesso, dall’etnia, dallo status sociale o dal peso».

«Abbiamo raccontato per troppo tempo i disturbi alimentari come patologie che riguardano solo il sesso femminile e abbiamo lasciato fuori le persone che non rientravano in questo “gruppo”, facendole dubitare della validità della loro malattia, validità che ancora oggi si basa troppo sul peso e sull’indice di massa corporea. Nonostante diversi studi scientifici abbiano dimostrato i limiti di questo strumento, il peso è ancora oggi un criterio base per poter accedere alle strutture di cura. Attraverso le storie scopriamo che i disturbi alimentari non sono solo una questione di peso: un disturbo alimentare c’è anche se non lo vediamo nel corpo. I Dca sono malattie mentali che abitano in corpi diversi»

I disturbi alimentari non sono solo una questione di peso: un disturbo alimentare c’è anche se non lo vediamo nel corpo. I Dca sono malattie mentali che abitano in corpi diversi

Aurora Caporossi

Aurora ricorda ancora la solitudine della sua famiglia che al tempo non sapeva cosa fare o a chi rivolgersi: «Animenta nasce anche per costruire ponti e relazioni, per facilitare la ricerca di centri per la cura dei Dca e di professionisti, affinché nessuno possa sentire più quel senso di solitudine che ti porta, giorno dopo giorno, a chiederti se tuo figlio o tua figlia guarirà mai».

In meno di due anni Animenta ha supportato più di 2mila ragazzi e ragazze, coinvolgendo oltre 100 persone in attività di volontariato e 70 esperti, ed organizzando oltre 50 attività in tutta Italia in presenza e online, con realtà come l’innovativa startup di psicologia online Unobravo (qui le info) e l’Asl Roma 1 – Centro Dca di Santa Maria della Pietà. (qui i contatti). «Se con l’online, attraverso i nostri canali social, facciamo corretta informazione su queste patologie, anche grazie al supporto dei professionisti; con le attività in presenza costruiamo dei momenti di confronto e dialogo sia con i pazienti che con le famiglie».

Da qui nascono infatti le attività nelle scuole, i laboratori di cucina realizzati con il supporto di Fondazione Cotarella, il progetto lettere al corpo realizzato con Ambra Angiolini, con la quale abbiamo creato un progetto teatrale coinvolgendo alcune ragazze dell’Associazione. Attraverso la musica, la danza e la recitazione abbiamo dato vita a tutte le lettere andando oltre il corpo e vivendo ogni attimo


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