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Sanità & Ricerca

Più leggi che cure domiciliari e gli ospedali si riempiono di anziani

Il presidente di Uneba Lombardia, il raggruppamento delle Residenze sanitarie assistite-Rsa del non profit, interviene sulla realtà rivelata da una recente ricerca: 22 pazienti su 100 non vengono dimessi dai nosocomi perché non hanno famigliari o caregiver in grado di dar loro supporto a casa. Siamo dinnanzi a un caso di «iperproduzione normativa» , dice Degani: mentre le cure a casa mancano, quelle intermedie non vengono attivate e il sistema socio-sanitario non viene visto come possibile soluzione

di Luca Degani

Recentemente è stato pubblicato, dall’edizione milanese del Corriere della Sera, un articolo dal titolo «Pazienti parcheggiati in corsia. Il 22% blocca posti per le urgenze».

Il tema è la mancanza di percorsi di continuità tra ospedale e territorio, in particolare per la popolazione fragile, in questo caso riferito alla Lombardia. Il medesimo problema che, alla fine degli anni 80 del secolo scorso, aveva portato alla crisi del Sistema sanitario, ossia “i ricoveri inappropriati”. Persone anziane “parcheggiate” in ospedale a causa della carenza di più appropriati luoghi di cura.

Una parziale risposta, negli anni 90, venne dalla creazione di 300mila posti letto in Residenze sanitarie assistite – Rsa ma, pur con un investimento, ai giorni nostri, di oltre 15 miliardi di euro, il problema certo non può considerarsi superato, anzi oggi si registrano alcune aggravanti.

Il mondo delle Rsa risponde oggi a un bisogno di salute completamente diverso, il numero di posti letto è quello previsto alla fine degli anni 80, ma gli ospiti sono molto più anziani, mediamente ultra-85enni, con due o più comorbilità, ossia la presenza contemporanea di più patologie.

Le Rsa sono oggi la risposta a quella parte di popolazione che non ha più la possibilità di permanere al proprio domicilio ed è portatrice di una fragilità assoluta. Diverso il ruolo che le stesse Rsa potrebbero avere nel percorso di rafforzamento della sanità territoriale in termini di promozione dei servizi diurni e di implementazione dei servizi domiciliari.

Ciò che, a oggi, lascia gli operatori sconcertati è che si dichiara sempre più il mantra «dall’ospedale al territorio e dalla acuzie alla cronicità», ma non si stanno definendo atti di programmazione coerenti con questo assunto.

Una delle incoerenze più evidenti è la mancata messa a sistema, in Lombardia, delle cosiddette Cure intermedie; oltre 2mila posti letto e che hanno come focus il percorso di rientro al domicilio delle fragilità, dopo un ricovero ospedaliero. La medesima funzione degli ospedali di comunità, a oggi non attivi per mancanza di professionisti sul mercato del lavoro.

Siamo dinnanzi a una iperproduzione normativa: il Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr, con il finanziamento strutturale degli “ospedali e case di comunità” e con la previsione di un finanziamento quinquennale in parte corrente per il rafforzamento delle cure domiciliari, la legge 33/23 per le persone anziane, il dm 77/23 che definisce gli standard delle strutture finanziate dal Pnrr, l’ipotesi di nuovi Decreti ministeriali sulle professioni sanitarie ausiliarie a quelle infermieristiche. Nessuna scelta però mette in una logica di programmazione questi atti.

Non c’è cioè la lettura del bisogno, la verifica delle effettive risorse strutturali e professionali a disposizione, la definizione di percorsi di cura basati sulla appropriatezza della risposta.

L’augurio è che la risposta si trovi, ad esempio, nei decreti attuativi della legge nazionale 33/23 in tema di percorsi di vita della popolazione anziana. In quel contesto non è però difficile leggere, per le dichiarazioni continue degli stessi promotori della legge, una visione in cui si valorizza la domiciliarità in termini assoluti senza valutare necessità di risposte differenziate ai bisogni evolutivi delle persone anziane. L’enfasi posta sul setting domiciliare, l’insieme delle cure da svolgere a casa dell’anziano, non considera cioè le situazioni più critiche.

L’integrazione tra ospedale e territorio cioè deve partire dall’integrazione delle risorse disponibili: il sistema sociosanitario, e non solo quello ospedaliero, deve essere considerato parte integrante del sistema sanitario e trattato con pari dignità. La valorizzazione della rete territoriale è lo strumento, per alleggerire la pressione sugli ospedali e sui pronto soccorso e anche a favore della medicina generale di base.

Non bisogna poi dimenticare a titolo esemplificativo che una giornata di degenza di un anziano in ospedale costa al Servizio sanitario regionale – Ssr dagli 800 ai mille euro, mentre una giornata di degenza in Cure intermedie viene remunerata poco più di 150 euro e una giornata in Rsa e non supera, per il Sistema Sanitario, i 45 di costo, perché la differenza è corrisposta dalla famiglia con la retta.

Occorre agire l’integrazione con concretezza e valorizzare tutti gli attori del sistema attraverso una coerente attribuzione delle risorse, mettendo la programmazione al centro della azione politica pubblica.

* presidente Uneba Lombardia


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