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Politica & Istituzioni

Italiani, vi convertir

Padre Pius appartiene a un ordine che invia i suoi sacerdoti negli Stati più ricchi. «Da voi la gente crede di sapere già tutto. Però quando volevo tornare a casa i miei parrocchiani hanno chiesto al

di Redazione

Missionari sì, ma solo dal Sud al Nord del mondo: la partenza è l?India, l?arrivo gli Stati Uniti, Australia, Germania, Italia. È questo il cammino ?al contrario? che percorrono i padri della congregazione del Santissimo Sacramento, un ordine indiano che invia i suoi missionari esclusivamente nei Paesi del mondo ricco e industrializzato, ma sempre più carente di vocazioni e sacerdoti. Padre Pius Chittilappijjy, 41 anni, originario dello stato del Kerala, è un missionario indiano, e l?Italia è la terra che ha scelto di evangelizzare. Nel Paese in cui ha sede il capo della Chiesa cattolica, capita anche che non ci siano abbastanza preti per reggere tutte le parrocchie. E così padre Pio (come lo chiamano qui da noi, e lui è contento: «È un augurio», dice) è diventato parroco della chiesa di S. Apollinare a Frisa, un piccolo paese della provincia di Chieti, diocesi di Lanciano-Ortona. Con lui vivono altri due connazionali, padre Tommaso e padre Giuseppe, anche loro parroci poco lontano. E nella stessa diocesi ci sono altri tre sacerdoti stranieri, venuti dal Guatemala a tamponare la nostra crisi di vocazioni. Invece nella patria di padre Pio, paradossalmente, è tutta un?altra musica. «Vocazioni? Più che sufficienti, per noi», scherza padre Pio. «Grazie a Dio la nostra congregazione ha più seminaristi che sacerdoti: 250 contro 140, e non ce la facciamo ad accogliere tutti i postulanti». Come ogni buon missionario, padre Pio non è venuto qui da sprovveduto. Quando era ancora studente è arrivato a Milano per studiare la lingua e frequentare un corso di meccanica che gli sarebbe stato utile a mettere in piedi una piccola scuola tecnica in India, nello stato del Karnataka a Sud di Bombay, dove la maggior parte della popolazione è di fede induista. Per i missionari cattolici in quella regione è difficile, se non impossibile, fare proseliti. «Le conversioni in India sono proibite per legge», conferma padre Pio. «Mentre qui in Italia sono difficili per altri motivi. La gente crede già di sapere tutto, invece non conosce la religione in cui è nata. La maggior parte del mio tempo lo passo a fare catechismo, sia ai piccoli che ai grandi». Quali altre difficoltà ha incontrato in Italia? «Oltre al clima? La mentalità, così diversa. Voi occidentali spesso siete affascinati dall?India, invece per noi è difficile comprendere la vostra cultura. Anche se è fondamentale riuscire a entrare in comunicazione per svolgere il nostro ministero. Il primo anno poi è stato un po? complicato per motivi, diciamo così, di razza. Gli italiani non sono abituati a essere guidati da una persona straniera, di colore. Poi il ghiaccio si è rotto, siamo diventati grandi amici. Pensi che tre mesi fa volevo ritornare in India, ma i miei parrocchiani sono andati dal vescovo a chiedergli di trattenermi qui». E lei cosa ha fatto? «Che potevo fare? Sono rimasto. Anche perché senza di me nessuno dice messa». Cosa la colpisce di più della Chiesa italiana? «Sicuramente l?età media dei sacerdoti. Sono tutti anziani, tra vent?anni rischiate di rimanere senza». Sembra proprio che il cristianesimo in Occidente lo salverete voi, allora. «Sì», risponde sicuro padre Pio. Poi, più modestamente, si corregge: «No, no, non è detto. Il mondo gira, e anche lo Spirito Santo. Magari tra cent?anni succederà il contrario».


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