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Cooperazione & Relazioni internazionali

Kerry concede la sconfitta: e adesso?

Cronaca di una sconfitta annunciata, temuta, voluta. I primi commenti alle elezioni amercane. Bernardo Parrella, corrispondente negli Usa, e non solo

di Bernardo Parrella

SANTA FE (New Mexico, Usa) – Bastonati alla grande i Democratici. E con loro le speranze del mondo intero per una svolta sostanziale nelle policy americane. Kerry ha appena telefonato a Bush per concedere la propria sconfitta, e tra poco lo farà anche pubblicamente. Contrariamente al 2000, il presidente vince sia il voto popolare che i collegi elettorali. I Repubblicani rafforzano la supremazia al Senato (53-44), alla Camera (229-200) e tra i governatori (28-21) mentre dieci su undici stati approvano divieti costituzionali ai matrimoni gay. Tom Daschle, leader di minoranza al Senato e figura storica del Congresso, è stato battuto dal super-conservatore John Thune in South Dakota. Questa l’istantanea nella mattinata statunitense del 3 novembre che molti avrebbero voluto diversa. Colpa della campagna troppo soft di Kerry? Oppure grande successo dell’agenda neocon, a partire dall’invasione dell’Iraq? Entrambi punti validi, ma non sufficienti a spiegare gli eventi. Piuttosto, la conferma che il sistema politico USA è divenuto troppo polarizzato, con posizioni quasi identiche e difficili da distinguere soprattutto per gli indecisi. Oggi la presenza di due soli partiti, la netta contrapposizione tra candidati non lascia nessuno spazio di manovra. Proprio quando invece occorre ampliare il dibattito, affrontare questioni complesse, attivare al massimo la partecipazione popolare. Scenario ancor più pericoloso rispetto ad uno scenario mondiale infuocato come l’attuale. Non a caso il “movimento”, l’altra America, ha insistito con forza sulle dinamiche ben oltre la scadenza di ieri: le presidenziali sono un momento importante, ma ancora più vitale è continuare sulla nostra strada verso il cambiamento, anziché essere cooptati dal potere per scegliere tra Bush e Kerry — hanno spiegato Noam Chomsky e Howard Zinn. Pur se va aggiunto che negli ultimi tempi lo stessa ondata anti-guerra così forte mesi addietro, è stata praticamente azzittita in attesa del voto, e ciò non torna a proprio favore per il futuro. Già, e adesso? Nessun dubbio negli Stati Uniti che il mondo, soprattutto quello islamico, vedrà con ulteriore e forte preoccupazione la conferma di Bush. Con tutta una gamma di possibili conseguenze. Qui in USA per ora i media mainstream non si azzardano oltre. Varie fonti alternative, da Democracy Now! ai molti blogger, insistono invece a non demordere, a riorganizzarsi per proseguire le pressioni contro la guerra e per il cambio delle attuali policy — coscienti come fosse comunque impossibile modificare le posizioni USA nel giro di un’elezione. Il variegato movimento non allineato continua la propria strada verso un cambiamento complessivo che richiede necessariamente tempi lunghi, a partire da possibili riforme del sistema politico. Quel che è certo è che per i prossimi quattro anni tale movimento avrà più occasioni per imporre la propria agenda con sempre maggior forza e convinzione. E potrebbe non essere poco. Leggi anche il commento di Paolo Manzo: I democratici vendono problemi, i repubblicani vendono valori


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