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Sostenibilità sociale e ambientale

La Borsa premia il verde Ma la filiera rimane un sogno

Un mercato che muove oltre sei miliardi di investimenti

di Christian Benna

Crescite a due cifre per i titoli legati alle rinnovabili
in Italia. Un settore che cresce, ma che finora ha occupato solo gli ultimi passaggi del processo, importando le tecnologie dall’estero. Ma anche su questo fronte qualcosa comincia a muoversi…
Abbronzatissimi. Alla Borsa del sole, nell’anno nero dell’economia globale, solo gli italiani escono con una invidiabile tintarella. L’indice Irex, che per penuria di imprese tricolore mette dentro al calderone una decina di società che a vario titolo si occupano di rinnovabili, continua a crescere, seppure a strappi, a doppia cifra. L’ultimo rally, a inizio giugno, ha movimentato i titoli del comparto sull’ipotesi di un nuovo Conto energia ancora più generoso dei precedenti.
E l’industria investe fior di quattrini. Tanto che nel biennio 2008-2009 ha messo sul piatto delle rinnovabili ben 6,5 miliardi, portando la capacità produttiva a 4.127 MW. Nel mondo ci superano solo Germania, Spagna e Giappone, mentre gli Stati Uniti restano fermi al palo dell’1%, sul totale, di energia prodotta da pannelli fotovoltaici. Il confronto con l’estero diventa poi impietoso se si affiancano gli indici dei principali listini del mondo. Lo S&P renewable energies ha perso in dodici mesi il 32% del suo valore, giù del 25% anche il Sunindex, dove sono riunite le principali aziende del settore. Il calo, secondo gli analisti, è fisiologico. La crisi economica ha frenato la crescita del Pil mondiale, ridotto gli investimenti sulle rinnovabili (scese da 155 a 144 miliardi di dollari) e ha snellito – in Spagna e Germania soprattutto – il sistema di incentivi che hanno trainato le imprese del solare negli ultimi anni.
L’Italia viaggia per conto proprio e continua a fare caso sé. Il sistema di contributi, che paga un kWh “verde” 45 centesimi contro i 20 di kWh “normale”, resterà in piedi, in attesa dello sbarco nella grid parity. Le otto imprese delle rinnovabili quotate, che in Borsa insieme valgono circa un miliardo di euro – si va da una capitalizzazione minima di 30 milioni (GreenVision) a una massima di 256 milioni (è il caso di Alerion) – si occupano più di distribuzione e di costruzione di impianti che di produzione vera e propria.
I tentativi di lanciare una filiera integrata, dalla fabbrica di silicio alla costruzione di moduli, sono andati a vuoto. Le imprese più attrezzate ora guardano al fotovoltaico di seconda generazione, puntando sul film sottile anziché sul silicio, (lo fa il gruppo Marcegaglia), o sul solare termodinamico o a concentrazione, nuove tecnologie che permetterebbero al settore – secondo il parere degli esperti – di poter camminare con le proprie gambe.
Sentendo le associazioni di categoria, tuttavia, la filiera del fotovoltaico, finora mai partita in Italia, per anni paese importatori di pannelli, sarebbe in via di sviluppo. Ci sono più di 700 operatori nel settore del sole e il giro d’affari supera i 2,3 miliardi di euro l’anno. Su 500 MW installati lo scorso anno, circa la metà sono prodotti – almeno in qualche sua componente – in Italia. L’alleanza tra i giapponesi di Sharp, Stm ed Enel Green Power, che ha portato alla creazione di una fabbrica di moduli a Catania, garantirà circa la metà del fabbisogno italiano di pannelli solari.


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