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Sanità & Ricerca

La lotta al virus riparte dall’Africa

Stefano Vella, il ricercatore italiano chiamato a presiedere l’Aids society anticipa a “Vita” quali saranno le strategie per contrastare l’epidemia: concentrare gli sforzi su Paesi poveri e ...

di Federico Cella

Il mondo si è riunito per parlare di Aids, fare il punto sulla situazione e studiare le strategie future nella battaglia contro il virus. A Ginevra si è conclusa la XXII° Conferenza mondiale sulla ?peste del secolo?: dodicimila partecipanti da ogni nazione del pianeta, 800 giornalisti accreditati. A differenza di Vancouver, dove si era tenuta la Conferenza nel ?96, non c?è stato molto spazio per l?euforia per nuovi farmaci o cure, oppure per nuove scoperte scientifiche. Si è riflettuto sul punto a cui si è arrivati oggi, abbandonata per il momento l?idea di poter eradicare completamente il virus dall?organismo umano. Tra gli enormi padiglioni di Ginevra, sono stati presentati migliaia di progetti – dagli scienziati, dalle aziende farmaceutiche e dalle molte associazioni presenti al convegno -, sulla possibilità di cronicizzare la malattia, sulla necessità di alleviare il peso dei trattamenti (chi è sottoposto alla ?triplice cura? deve sobbarcarsi 18/20 pillole al giorno), sul reinserimento sociale dei sieropositivi e sull?urgenza di intervenire nei Paesi in via di sviluppo, alla mercé della diffusione del virus. Quest?ultimo argomento è stato la tematica dominante della Conferenza, intitolata difatti ?Bridging the gap?, la necessità di colmare la diseguaglianza sanitaria tra il Nord e il Sud del mondo. Tra conferenze pubblicitarie delle aziende farmaceutiche, note di colore e provocazioni – la festa organizzata da un gruppo di prostitute, ?La notte dell?asfalto?, le nuove ?mutande sicure? della linea Janesway -, notizia vera e sorprendente è il riconoscimento ufficiale del valore della ricerca italiana nella lotta al virus, con l?elezione a presidente della International Aids society (Ias) di Stefano Vella, direttore del reparto Hiv dell?Istituto superiore della sanità (Iss). Nato a Roma 46 anni fa, il professor Vella è entrato nell?Iss nel 1990 sotto la guida del pioniere Giovanni Rossi; nel 1996 è stato eletto tra i trenta scienziati di tutto il mondo che compognono il comitato della Ias. Con lui facciamo un bilancio della Conferenza di Ginevra. «La mia elezione a presidente dell’Aids society è un segno di stima che la comunità internazionale riconosce all?Italia e agli ottimi risultati ottenuti con le nostre ricerche. Ricerche che abbiamo potuto compiere grazie a un?organizzazione funzionante e a buoni finanziamenti statali. Ma per ora si tratta solo di una carica: le cose sono ancora tutte da fare». Quali sono le prime impresioni alla conclusione della Conferenza ? «La situazione dell’epidemia nei Paesi occidentali va decisamente meglio grazie alle nuove cure che permettono la dilatazione dei tempi prima della conclamazione della malattia. Il problema si sposta nei Paesi in via di sviluppo, perché l?Aids si è confermata essere la malattia dei poveri. In alcuni Paesi non ci sono speranze di un miglioramento finché non arriverà il vaccino definitivo; e per questo penso che ci vogliano ancora parecchi lustri». Ma la situazione africana, per esempio, non pare possa essere risolta col semplice invio gratuito dei medicinali, come hanno proposto alcune aziende americane. «Infatti sull?Africa abbiamo degli esempi clamorosi: il vaccino del morbillo, per citare un caso, costa solo cento lire, eppure ci sono ancora milioni di bambini africani che muoiono di questa malattia. Si tratta di un problema di disuguaglianza di cure, che deve essere risolto al più presto; i Paesi occidentali, con la globalizzazione odierna, devono rendersi conto che non è più pensabile la possibilità di combattere l?Hiv da soli». Quali i passi da compiere nel futuro? «Le terapie attuali, benché funzionanti, sono ancora a una fase ?preistorica?; ma la direzione che punta alla cronicizzazione della malattia, dopo che David Ho ha ?toppato? sulla possibilità di eradicare il virus, è sicuramente quella giusta. Abbiamo presentato a Ginevra degli studi dell?Iss che mostrano concrete possibilità di arrivare presto a far vivere i sieropositivi fino a 20 anni. E per garantire alle persone malate un reinserimento sociale, bisognerà anche, per evitare false illusioni o allarmi, cercare di frenare alcuni titoloni lanciati dalla stampa italiana, che ha il vizio di sbattere inopinatamente in cronaca anche le notizie scientifiche più delicate». Una delle novità che ha presentato questa dodicesima Conferenza è stata senz?altro la massiccia, e inedita, partecipazione di molte Organizzazioni non governative. «Alcuni all?inizio erano scettici sulla partecipazione delle associazioni a quello che è un convegno di ricerca. La paura era di uno scadimento del valore scientifico. Invece è andata bene, e c?è stata la prima applicazione del cosiddetto ?Principio di Ginevra?, secondo il quale in occasioni come questa deve essere data pari dignità alla parte scientifica e a quella sociale. L?Aids, d?altronde, è peculiare rispetto ad altre malattie proprio per questo aspetto sociale a cui è indissolubilmente legata; la società civile si è subito mobilitata, sotto forma di associazioni o fondazioni, fin dalla prima comparsa del virus. E, a mio parere, molti dei problemi dei Paesi in via di sviluppo potranno essere risolti proprio grazie alla crescita dell?associazionismo anche in queste nazioni». Prossimo appuntamento tra due anni, nel 2000 in Sudafrica… «Ovviamente la scelta della sede vuole essere simbolica. È stato scelto il Paese di Mandela perché presenta una duplice natura: sia quella industrializzata, che ha permesso l?organizzazione di una simile convention, sia quella più peculiare e drammatica dell?Africa nera. Nel solo Sudafrica si conta la nascita di 2 mila bambini sieropositivi ogni giorno e il computo totale dei malati è di tre milioni, circa il 13% della popolazione». Infermieri, il contagio è in agguato Sieropositivo. Causa: infortunio sul lavoro. Un caso raro, ma per medici, infermieri, addetti ai laboratori di analisi e allo smaltimento dei rifiuti ospedalieri è una realtà con la quale confrontarsi quotidianamente. I primi casi accertati di contagi durante il lavoro risalgono al 1984. Da allora ne sono stati documentati 61, 3 dei quali in Italia, mentre per altri 111 è stata ipotizzata una possibilità di contagio in ambito lavorativo. Ma i casi in cui l?infermiere (la categoria più esposta) ha rischiato il contagio sono più numerosi: nel nostro Paese 1.613. La manovra più ?pericolosa? è senz?altro il reincappucciamento dell?ago: il 27% delle esposizioni al virus dell?Hiv; e se a questi episodi si sommano quelli di puntura accidentale, la quota sale al 59%. Le categorie più a rischio? In testa gli infermieri sia per i casi di contagio che per quelli di esposizione (rispettivamente il 38 e il 71 %). Per quanto riguarda i casi di sieropositività accertata, gli addetti ai laboratori rappresentano il 27 %, altri operatori generici il 18%, mentre i medici 9% e gli ausiliari e i dentisti 4%. Per i casi di esposizione, dopo gli infermieri, sono i medici i più colpiti, con il 18 %, seguiti dal 7% del personale generico e dal 4% dei laboratoristi.


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