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La marea nera in Nigeria è invisibile

Fonti ambientaliste parlano in media di 300 casi l'anno. Di cui non parla nessuno, ma che potrebbero diminuire. Grazie a una legge del neopresidente

di Chiara Caprio

Prima del Golfo del Messico viene la Nigeria. Se il versamento BP ha generato tanto clamore, una guerra altrettanto famosa (e molto più complessa) attanaglia da decenni il cuore della produzione petrolifera nel continente africano. Ma tra disastri ambientali più o meno nascosti, si muovono i primi timidi passi verso la riconciliazione. In un territorio dove rapimenti, sabotaggi e violazione dei diritti umani sono sempre stati parte integrante della vita quotidiana, il neopresidente Jonathan Goodluck ha recentemente approvato una nuova legge, la Nigerian Oil and Gas Industry Content Development Bill, il cui scopo è quello di aumentare la partecipazione dei locali all’industria del petrolio.
«Tutti gli operatori e fornitori di servizi dovranno presentare piani di addestramento e studio per massimizzare l’utilizzo di personale nigeriano in tutte le aree operative», recita la legge. Ma un portavoce del principale gruppo armato, il Men – Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger, ha dichiarato che «la legge non coglie il punto centrale che ha portato alla guerriglia: noi vogliamo che la popolazione locale abbia il controllo totale delle risorse petrolifere». Oltre alle rivendicazioni di alcuni combattenti, rimangono aperti altri due fronti: trovare lo staff in grado di occuparsi delle nuove procedure previste dalla legge e, soprattutto, risolvere i problemi di trasparenza. La nuova legge infatti dà la priorità alle aziende locali nella cessione degli slot di petrolio, ma in passato alcune operazioni poco limpide e molto criticate hanno riguardato proprio i produttori locali. E da questo punto di vista il nuovo presidente non ha ancora dato garanzie sufficienti.
La prima decisione presa è stata la nomina di Diezani Allison-Madueke a ministro per il Petrolio, in precedenza ministro del Settore minerario. Caratteristiche principali del nuovo ministro sono i legami con la stessa terra d’origine di Jonathan Goodluck, lo Stato Bayelsa, nell’area sud del Niger Delta, e la carica (fino al 2007) di direttore delle relazioni esterne della regina delle sette sorelle, la multinazionale anglo-olandese Shell.
La compagnia è tornata all’onore delle cronache all’inizio del 2010, quando l’Eccr – Ecumenical Council for Corporate Responsibility ha pubblicato un rapporto intitolato «Shell in the Niger Delta: a Framework for Change». Il rapporto mette in luce numerose lacune nella gestione dei versamenti di petrolio, criticando operazioni condotte malamente e senza compensazione per la popolazione locale. Oltre all’ingiusta distribuzione dei benefici economici, il rapporto evidenzia come i danni ambientali e i livelli preoccupanti d’inquinamento abbiano danneggiato i due principali settori di sostentamento della popolazione: pesca e allevamento. Il ruolo del governo rimane incerto e ambiguo. La riconciliazione e la pace nel Delta passano inevitabilmente per l’amnistia governativa e i piani di reinserimento sociale degli ex guerriglieri, ma dal punto di vista ambientale e del rispetto dei diritti umani, la strada è ancora lunga. I dati diffusi dal governo sui versamenti di petrolio (complessivamente 7mila dal 1970 al 2000) contrastano con quelli dichiarati dagli ambientalisti, che invece registrano una media di 300 versamenti all’anno. A questa mancanza di trasparenza si aggiunge il rapporto con i giganti del petrolio, che nel caso della Shell verte tutto a favore dello Stato nigeriano: la compagnia infatti detiene solo il 30% delle quote della Shell Petroleum Development Company, mentre il restante è di proprietà della compagnia statale Nnpc.


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