Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Famiglia & Minori

La (mia) fantasia al potere

Ecco chi è e come si racconta il sindaco di Baucina che Walter Molino immotalò già nel 1967 per una delle sue mille trovate.

di Mariano Campo

C’è chi lo chiama il sindaco con la campanella, dato che ogni giorno, quando la campana della chiesa madre rintocca mezzodì, dalla tromba delle scale del municipio chiama a raccolta nel suo studio i dipendenti comunali per recitare tre Ave Maria. Oppure ancora il sindaco-Cupido, ideatore qualche anno fa di un simbolico premio “alla fertilità”, per porre in modo originale un freno allo spaventoso calo demografico del suo minuscolo paese che, come molti altri comuni siciliani, rischia di ritrovarsi nel prossimo millennio popolato da soli anziani. Qualcun altro, soprattutto tra i suoi avversari politici, gli dà più maliziosamente del “piccolo Duce” per via dell’abitudine di convocare periodicamente i suoi concittadini sotto il balcone della farmacia di famiglia: ogni venti giorni. Pietro Di Marco, da quasi quattro anni primo cittadino di Baucina, un paese di 2000 abitanti a trenta chilometri da Palermo, impugna il microfono e parla dei fatti del Comune, spiegando le proposte dell’amministrazione e raccogliendo in diretta indicazioni e suggerimenti e, com’è logico, anche critiche. «Ma che balcone di Palazzo Venezia», replica sorridendo Di Marco, «io preferisco pensarlo come il verone di Romeo e Giulietta, visto che è imbandito di una coltre di gerani coloratissimi e profumati. Può sembrare curioso, ma trovo più giusto confrontarmi così con i miei paesani su tutto ciò che può riguardare la nostra comunità, alla luce del sole, lontano dai sotterfugi dei corridoi di palazzo». Due lauree, in giurisprudenza nel ’54 e in farmacia nel ’77, sposato, quattro figli, il sessantottenne ex-segretario comunale eletto nel novembre del ’95 con una lista civica di centro-destra (che però – precisa – ha al suo interno anche un assessore di sinistra), è balzato prepotentemente alla ribalta della cronaca nazionale per avere istituito la “pausa-preghiera” nell’orario di lavoro dei dipendenti municipali. Lui, sorpreso ma visibilmente contento per l’eco riscontrata, racconta così la vicenda: «Ninella, una collaboratrice della mia segreteria, mi ha chiesto di poter recitare insieme qualche preghiera allo scoccare dell’Angelus, così come si fa con il Vespro dell’imbrunire. Abbiamo cominciato in due, quindi si sono uniti, di loro spontanea volontà, altri impiegati. Così mi sono procurato una campanella di bronzo e all’orario stabilito chi vuole, intendiamoci, può ritrovarsi intorno alla scrivania del sindaco e pregare. È un momento di pausa, di riflessione, che dura 2-3 minuti al massimo ed è utile per smorzare molte tensioni che si creano sul lavoro. Ed è anche, secondo me, un richiamo alla coerenza: chi si dice religioso, amministratore o funzionario che sia, deve fare il proprio dovere con onestà e senza ripicche, rispettando gli insegnamenti morali e guardando al bene comune ed alla solidarietà fra membri di una stessa comunità». Quello stesso bene comune che parecchi anni fa, nel ’67, quand’era segretario del vicino municipio di Montemaggiore Belsito, gli fece letteralmente perdere il sonno. Poi, una trovata delle sue gli regalò ancora una volta la celebrità, attraverso la matita del grande Walter Molino sulla allora diffusissima rivista “Grand Hotel” e, indirettamente, gli permise di risolvere un grosso problema finanziario: «Avevamo l’assoluta necessità di realizzare alcune strade e di rifare la rete idrica, ma nelle casse comunali non cera una lira. Per questo, soprattutto come gesto provocatorio, proposi alla giunta di fare una colletta e di giocare ogni settimana al Totocalcio, poiché né lo Stato né la Regione ci degnavano di attenzione. Per poco non vincemmo: io però qualche giorno dopo fui chiamato da Mike Bongiorno per un quiz a premi, e in quell’occasione lanciai un accorato appello in televisione. Risultato? Il ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini ci assegnò 200 milioni, 100 per l’acqua e 100 per le strade. Per non essere da meno, da Palermo arrivarono invece 40 milioni». Un’altra soluzione clamorosa del sindaco Di Marco, questa volta per aumentare il tasso di natalità del paese: il premio di un milione a tutte quelle coppie che concepiscono un piccolo baucinese nel periodo di San Valentino dandogli nome Fortunato o Fortunata, in onore dell’amatissima patrona. «Quasi la metà degli abitanti», spiega Di Marco, «ha più di 65 anni e di bambini ne nascono sempre meno. Per questo motivo tre anni fa, preso dall’euforia per la festa di Santa Fortunata, che cade proprio il 14 febbraio, dal balcone del municipio invitai calorosamente le giovani coppie a trascorrere un’intensa notte d’amore, promettendo un premio a chi avrebbe donato un altro figlio alla nostra piccola comunità». E per favorire l’atmosfera romantica, la notte di San Valentino una piccola orchestra di volontari suona ancora le serenate sotto i balconi degli innamorati. Solo stravaganza? «Niente affatto» risponde Di Marco. «Secondo me la pubblica amministrazione ha il dovere di orientare i cittadini. E noi, con questo gesto, intendiamo contribuire all’educazione all’amore, fondamento della famiglia, e all’educazione al risparmio con la scelta di vincolare il premio alla maggiore età del piccolo con un buono postale fruttifero». E per mantenere stretti i legami con i moltissimi baucinesi all’estero e – dice lui – spingere i propri compaesani a comunicare sempre di più tra di loro, ha istituito un indirizzo e-mail (subito subissato di lettere e fotografie per i propri parenti da parte degli “zii d’America”) e ha cominciato a pubblicare, utilizzando soltanto i computer e le fotocopiatrici del municipio, un giornalino comunale aperto al contributo di tutti. «Si chiama “U murtareddu”», spiega, «cioè il piccolo mortaio. La leggenda vuole infatti che il suono del pestello sbattuto sul mortaio di bronzo spinga il riccio appallottolato su se stesso ad aprirsi. Il nostro giornalino vuole essere quindi, come il tintinnìo del mortaio, uno stimolo per i baucinesi a svegliarsi e a collaborare al processo sociale ed economico, alla maturazione civile e culturale, alla solidarietà verso i più deboli e i meno fortunati, al confronto leale delle idee. Soprattutto, a trasformare cioè Baucina in una vera e propria famiglia». Certo una tipologia alternativa di amministratore: “un” sindaco, “nessun” ascolto dalle istituzioni centrali e “centomila” idee talvolta stravaganti, giusto per dirla con il suo paesano Pirandello.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA