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La nuova vita di Zorro

Andrea Zorzi gira l'Italia per raccontare la sua idea di sport. Che svela sul nuovo numero del magazine

di Mattia Schieppati

Uno come lui potrebbe starsene a casa tranquillo a rimirare i suoi trofei. Due ori mondiali e un argento olimpico, tre coppe del mondo, 2 supercoppe europee…. Colonna della nazionale quando gli azzurri di pallavolo erano “quelli” di Lucchetta, Cantagalli, Giani, i fenomeni allenati da Julio Velasco. Andrea Zorzi ne avrebbe da raccontare. E invece da due anni va in giro per l’Italia con un camper, e di mestiere ascolta. E cerca di capire, dopo averlo vissuto ai vertici per 15 anni, cos’è oggi lo sport in Italia. Lo sport “dal basso”, quello che si fa in palestre scalcagnate e nei parchi cittadini, ma anche quello che si fa nei vicoli di Bari, sulle spiagge dell’Adriatico, sulle pareti rocciose del suo Veneto.
Quello che si è inventato si chiama Tracce di sport, ed è un viaggio su e giù per l’Italia, per «far conoscere quella faccia dello sport che in tv non fa notizia, ma che coinvolge decine di migliaia di persone appassionate e competenti che fanno grandi cose nello sport, professori di ginnastica, dirigenti sportivi, assessori, parroci, ma che hanno un difetto: non si parlano, e le loro esperienze, tutte bellissime, va a finire che non fanno tessuto sociale».
Chi non parla a chi?
Si è venuta a creare una situazione paradossale: lo sport “ufficiale” in Italia viene quasi esclusivamente identificato con lo sport professionistico, e questo è un limite. Perché la professionalizzazione ha cambiato le modalità di accesso alla pratica sportiva; è crollata l’idea che esiste un’ipotetica piramide, per cui più larga è la base dei praticanti più avrai punte di qualità. Oggi si selezionano i migliori, con i quali si punta a vincere le medaglie. E questo, dal punto di vista delle federazioni, è giusto, perché le federazioni devono vincere medaglie. Però manca l’altro pezzetto: chi si fa carico di far sì che a pallavolo, a basket, a calcio, a boccette giochino un po’ tutti quanti?
Dovrebbe essere compito delle società sportive…
E qui sta l’errore. Quello dei tesserati, delle società sportive, è un mondo che si è via via strutturato per rispondere solo ad alcuni bisogni, e fa fatica a dialogare con tutto quello che gli sta intorno. Basta guardare come sono fatti gli impianti sportivi: in ogni città ci sono impianti bellissimi, curati, ma spesso sono in periferia, e sono sempre chiusi da muri o cancellate: strutturalmente non sono pensati per dialogare con la città. Noi, durante questo viaggio, ci siamo convinti che si possa guardare allo sport in un modo diverso.
Come?

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