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La sociabilità unico antidoto al rancore

di Aldo Bonomi

È un libro importante questo di Richard Sennett a cui Vita dedica il servizio di copertina. Sennett lo conosciamo e lo apprezziamo come un autore che non si concede mai a grandi affreschi sociologici ma concepisce con artigianalità la sua professione, partendo sempre da notazioni raccolte sul terreno e da indagini che non escludono le attività anche più minute degli uomini. Sennett ha capito che il capitalismo post fordista, quello in cui siamo immersi, ha tolto all’uomo che lavora l’orizzonte della narrazione. Nel periodo del capitalismo più duro c’era uno spazio per una contronarrazione, che poteva prendere le forme della politica o della sindacalizzazione. Oggi invece il nuovo modello è pervasivo nei confronti del soggetto, lo spinge sulle sponde dell’individualismo, dove l’altro viene sempre vissuto come un competitor. Sennett, invece, già con L’Uomo artigiano, primo volume di una triade di cui Insieme è il secondo atto, aveva avuto il grande merito di reintrodurre una narrazione, raccontando la cultura dei mestieri non come resto di un passato sconfitto, ma come chance per il futuro. In questo lo abbiamo sentito molto prossimo, in quanto l’Italia è il Paese in cui l’uomo artigiano ha prodotto il capitalismo molecolare e le comunità d’impresa. È una “prossimità” che potremo sperimentare anche con l’atto conclusivo della trilogia, dedicato alle città. Sennett infatti annuncia che il libro sarà la narrazione di città concepite come organizzazioni comunitarie, contro la corsa al modello arrogante delle megalopoli.
Nel libro di Sennett c’è una parola chiave, più ancora di quanto non lo sia la parola “co-operation” inserita nel sottotitolo. È la parola “sociabilità” («consapevolezza reciproca, non un agire insieme», la definisce). Sennett ne cerca le radici in quella sinistra sociale che si contrappone alla sinistra politica sin dai tempi della Comune parigina: una divaricazione che in tempi ben più vicini ha portato alla contrapposizione tra il militante e il volontario così ben indagata da Marco Revelli. La sinistra politica è quella che aveva puntato le sue energie nella costruzione di una forma partito; quella sociale aveva fatto leva sull’autorganizzazione e sulla mutualità. La prima è fallita con il fallimento delle grandi ideologie novecentesche; la seconda è stata sconfitta dal prevalere di forme di comunità contrassegnate da una forte perimetrazione geografica o culturale. Sono le comunità del rancore. E allora che spazio può esserci per quella categoria chiave della convivenza umana che è la “sociabilità”? È nella risposta a questa domanda che emerge il miglior Sennett: quando sottolinea che «la sociabilità, nel suo versante drammatico, riconosce quelle ferite dell’esperienza reciproca che non si rimarginano». Sul sentimento così diffuso di perdita, sulla sofferenza per una comunità assente può nascere una comunità di destino. Può inizare un percorso di “sociabilità” capace di sedimentarsi in profondità.


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