Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

La solidarietà viene dal nord

La quota di donazioni ai Paesi del Terzo mondo ha raggiunto il punto più basso dal 1950 a oggi. Uniche eccezioni: Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia

di Paolo Giovannelli

Un cittadino danese dona 311 dollari all?anno ai poveri della Terra. Un italiano, un americano e un portoghese (ma non è l?inizio di una barzelletta…), insieme, appena 84. Proprio gli Stati Uniti hanno destinato agli aiuti internazionali allo sviluppo, nel 1995, la percentuale più esigua del loro Prodotto interno lordo (Pil). Nelle sabbie mobili dell?indifferenza, vince l?idea che non condividere la ricchezza è meglio. E gli appelli dell?Onu per la lotta contro la povertà (nel mondo c?è bisogno soprattutto di assistenza sanitaria, alimentazione, istruzione elementare, acqua potabile e impianti igienici) non passano le orecchie, sempre più da mercante, di sempre più governanti. Infatti, secondo il rapporto 1997 ?Il progresso delle nazioni?, pubblicato annualmente dal Fondo delle nazioni unite per l?infanzia (Unicef), il sostegno alla crescita dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, da parte di quelli industrializzati, ha raggiunto il livello più basso dal 1950 in poi. Il dato, estrapolato dal rapporto 1996 sulla cooperazione allo sviluppo dell?Organizzazione per la cooperazione economica e per lo sviluppo (Oecd), è allarmante: la media dell?Assistenza ufficiale allo sviluppo (Aus) dei 21 Paesi donatori industrializzati della stessa Oecd è pari a un miserrimo 0,27% del loro Pil combinato. Mentre il traguardo per favorire uno sviluppo umano sostenibile, teorizzato da accordi internazionali, sarebbe quello percentuale dello 0,7. Le donazioni che i Paesi ricchi effettuano sono frutto di calcoli ben precisi, di mirate strategie economiche. Non certo dettate dalla volontà di aiutare chi muore di fame alle latitudini più difficili. Così si sostengono le cosiddette ?economie emergenti?, rampanti, come quelle della Cina (rilevante quanto recentemente sbandierato è lo sforzo italiano proprio verso questo Stato), del Messico e della Repubblica della Corea. Dei Paesi più poveri, in particolare di quelli dell?Africa subsahariana (dove, fra l?altro, anche l?Aids imperversa; l?Ufficio censimenti degli Stati uniti ha calcolato che, nel 2010, nel solo Kenia, moriranno per Aids 51 mila bambini) non importa proprio niente a nessuno. Per questi ci sono solo scarsi prestiti e investimenti, a fronte della loro urgente necessità di aiuti per poter combattere un?indigenza drammatica, per rimborsare il debito estero, per sostenere gli investimenti e per finanziare servizi sociali ora pressoché inesistenti. Quindi, ciò che conta veramente non è ?donare quanto? (altrimenti Giappone, Stati uniti, Francia e Germania sarebbero ?i donatori eccellenti? coprendo oltre tre quinti dell?Aus) ma ?donare dove?. E ?come?. Ossia senza imbrogli, in modo che i fondi della cooperazione siano sempre meno l?alimento base delle corruzioni dei Paesi. In materia, l?Italia ne sa già spiacevolmente qualcosa. Ma dal rapporto Unicef 1997 emerge anche qualche dato positivo. Consolante, perché c?è anche chi pensa le politiche in funzione degli uomini. Quattro sono le nazioni solidali con i poveri del Pianeta e che si impegnano per uno sviluppo umano sostenibile, ossia la Danimarca, la Norvegia, i Paesi Bassi e la Svezia. Del loro Pil donano rispettivamente l?1,04, lo 0,92, lo 0,87 e lo 0, 82 per cento. Bravi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA