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Le intenzioni ci sono, la legge no

«I giovani italiani vogliono rendersi utili, e noi dobbiamo permetterglielo» dice il funzionario. «Purtroppo la riforma non è stata ancora applicata.

di Mariateresa Marino

Guido Bertolaso è il direttore dell’Ufficio nazionale per il Servizio civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Con lui parliamo delle prospettive future dell’obiezione di coscienza. Dottor Bertolaso, come si sta evolvendo il servizio civile in Italia? Il nuovo servizio civile nasce sotto il segno di una rinnovata coscienza. L’incremento delle domande, dal 1995 ad oggi, conferma chiaramente che la richiesta di obiezione di coscienza non deriva più come prima dal semplice rifiuto del servizio militare, ma si lega ad una considerazione più alta del servizio civile come occasione di crescita sociale dei giovani. A quasi due anni di distanza dall?entrata in vigore della legge 230 che cosa è rimasto invariato e cosa invece sta cambiando? In primis, è la legge ad essere rimasta bloccata, o per meglio dire inapplicata. Il motivo si spiega con i soliti vizi dei percorsi legislativi italiani, ovvero un numero esorbitante di regolamenti, decreti attuativi e norme specifiche che devono essere ancora discusse ed approvate. Dunque, il primo fronte sul quale l’Ufficio nazionale per il servizio civile si trova in trincea è proprio l’applicazione della legge. Da questo passaggio fondamentale deriva tutto il resto, ossia la fase organizzativa e l’individuazione degli strumenti con i quali operare. Qualcosa, comunque, è già cambiato. Per esempio, adesso le cartoline di chiamata arrivano ai giovani con la firma del direttore dell’Ufficio nazionale per il servizio civile e non più del ministero della Difesa. Un primo passo verso la ?smilitarizzazione? dell?obiezione di coscienza, quantomeno a livello delle competenze. Quali sono le prospettive immediate del nuovo piano organizzativo della struttura che lei dirige? La prima cosa da garantire e sulla quale ci stiamo impegnando da tempo è fare in modo che tutti i ragazzi che hanno presentato la domanda per il servizio civile abbiano la possibilità di partire. In seconda istanza, ma altrettanto importante, la garanzia che vengano impiegati nel modo migliore. Questo significa essenzialmente definire i progetti d?impiego in sinergia con gli enti interessati, individuando le esigenze del territorio e del contesto sociale, e avviare il percorso formativo. Non va dimenticato, infatti, che la formazione, trascurata o bellamente ignorata in questi anni, è uno degli aspetti irrinunciabili del servizio civile, se vogliamo che questo risulti davvero utile ai giovani. Inoltre, la nuova organizzazione del servizio civile prevede anche una o più verifiche ?in corso d?opera?, necessarie per valutare la buona riuscita del servizio e l?idoneità del giovane alle proprie competenze. Quali saranno le ricadute sociali più significative del nuovo servizio civile? Il settore che più di tutti ne trarrà vantaggio sarà sicuramente il mondo dell?associazionismo e del volontariato, poiché queste realtà saranno sostenute e alimentate da un considerevole numero di giovani destinati al servizio civile. Senza trascurare il fatto che, grazie a questa grande risorsa, si potranno risparmiare circa 700 miliardi per i programmi di assistenza sociale. Va sottolineato, inoltre, che il servizio civile, così strutturato, rappresenta un’occasione preziosa per alimentare una coscienza civica più matura e il senso di appartenenza ad una comunità più ampia. Il giovane che viene a diretto contatto con le realtà di disagio sociale e di sofferenza farà esperienza di valori etici importanti che proietterà inevitabilmente nell?esistenza futura. E magari questa esperienza servirà anche come orientamento professionale per il futuro… Certo. Questa è un?altra importante ricaduta sociale del rinnovato servizio civile, che quando è bene organizzato e viene svolto con consapevolezza delle proprie motivazioni, rappresenta un vero tirocinio sul campo e può aiutare il giovane ad orientarsi con determinazione nella scelta della sua professione futura. Insomma, dieci mesi di servizio civile ben fatto costituiscono un valido sbocco occupazionale per i nostri giovani. Dunque, il servizio civile può davvero contribuire alla crescita sociale del nostro Paese? Non c’è dubbio. Anzi, aggiungo che soprattutto per le organizzazioni non profit si tratta dell?applicazione delle affermazioni che da anni si fanno sulla necessità di una sinergia tra Stato e privato sociale, quando sappiamo bene che fino ad ora la realtà del volontariato e del non profit ha colmato le lacune dei servizi pubblici. Attraverso la grande risorsa del servizio civile ben organizzato, lo Stato e il Terzo settore lavoreranno insieme in maniera realistica, realizzando il principio di complementarietà da sempre inseguito. In cinque anni (il tempo necessario per creare la struttura organizzativa e i piani di intervento del nuovo servizio civile) si può incidere sul tessuto sociale del Paese e sulla crescita etica dei giovani. Mariateresa Marino


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