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Economia & Impresa sociale 

L’irresistibile ascesa di pornoitalia

Numeri e trucchi di un settore che non conosce crisi

di Christian Benna

Grazie a un cavillo, nemmeno la pornotax riuscirà a fermare il business dell’hard. Che già oggi vale 1,5 miliardi di euro. E intanto il 6% degli italiani è sex addicted Ci penserà l’industria del sesso a salvare Shakespeare e Goldoni. Almeno questo è l’intento dichiarato della “nuova” pornotax, l’antico vessillo forzista proposto per la prima volta nel 2002 dal deputato Vittorio Emanuele Falsitta, rilanciato nel 2005 da Daniela Santanchè e resuscitato all’ultimo dal ministro all’Economia, Giulio Tremonti nella sua manovra anticrisi del 2008. Ora, sistemato il decreto attuativo, l’addizionale salasso del 25% su produzione, vendita e diffusione di materiale pornografico (dvd, tv, siti internet, sexy shop) ha trovato anche la sua futura redenzione. Nella manovra fiscale estiva, la pornotax ha ripreso quota e il suo ricavato sarà destinato al Fondo unico per lo spettacolo, e cioè a finanziare il buon teatro, il cinema d’autore e la musica colta. «Una squallida mancetta», hanno subito tuonato alcuni deputati del Pd indirizzandosi al ministro della Cultura, Sandro Bondi. Ma Palazzo Chigi non ha fatto male i suoi conti. Perché, anche in mezzo alla bufera della crisi economica, la Sesso spa Made in Italy continua a sfornare quattrini.

Una macchina da soldi
Si stima che in Italia il bilancio del distretto dell’eros ammonti a 1,5 miliardi di euro. Un dato espresso per difetto, coperto peraltro da larghi strati di sommerso, che comunque vale il settimo mercato al mondo per consumi di prodotti pornografici. Il primo, anche in questo settore, è la Cina. Benché il prelievo fiscale finirà per non produrre altro che spiccioli secondo l’opposizione, il governo conta di pescare entrate per almeno 250 milioni di euro l’anno. Con buona pace del 6% di italiani finiti nel vortice della sessodipendenza, stando alle rivelazioni dell’Airs, l’Associazione italiana per la ricerca in sessuologia.
La risposta dell’industria del porno, tuttavia, non si è fatta attendere. Intanto sono scese sul sentiero di guerra le emittenti televisive private, Mediaset inclusa, che contestano il pugno di ferro del provvedimento. E poi si appellano alle stravaganze del testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale ,perché nel decreto si parla di prodotti in cui siano presenti «immagini o scene contenenti atti sessuali espliciti e non simulati tra adulti consenzienti». E chi recita si suppone simuli l’atto sessuale. Si chiamano quindi fuori le pay tv e pay per-view, mentre le case di produzione hard accelerano sulla delocalizzazione. Come le altre Pmi del Belèaese, fanno bagagli, chiudono bottega e se ne vanno all’Est, dove il costo del lavoro è irrisorio.

Fra internet e marciapiede
Anche perché i bilanci delle fabbriche del sesso non splendono più come un tempo, quando la crescita annuale viaggiava a tre cifre. Oggi pirateria e siti internet stanno facendo a pezzi il vecchio home video. Ma i consumatori non mancano. Anzi, nell’Italia della crisi la febbre dell’eros non accenna a raffreddarsi. Intanto gli amanti del porno aumentano grazie all’anonimato e ai nuovi orizzonti per tutti i gusti che offre il web. Internet consente di accedere a contenuti hard senza sborsare un quattrino. Da un’analisi di Nielsen Online, gli utenti sono 7 milioni e 250mila con un’ora e 27 minuti di visione hard al giorno. Se si considera che su 30 milioni di italiani con accesso a internet, sono 9 milioni quelli che surfano regolarmente, emerge chiaro che è l’eros online a farla da padrone. Il 71% sono maschi, 29% donne: la fascia di età più interessata è compresa tra i 35 e 49 anni (il 35,5%). Si tratta di utenti con una buona cultura alle spalle (la metà ha almeno il diploma di scuola superiore) e in maggioranza sono studenti e impiegati. Nel settore, YouPorn (versione sex di YouTube) è numero uno in Italia con una quota di mercato del 10% e una crescita di 3 punti percentuali rispetto ad un anno fa. E una volta combattutto il digital divide, c’è da scommettere su un ulteriore incremento di consumatori.
Il sesso visto dal buco della serratura è un pianeta in grande espansione. Ma è ancora sul marciapiede che si muove il grosso del giro d’affari. In Italia l’industria della prostituzione incassa 90 milioni di euro al mese, circa un miliardo l’anno. E il numero dei clienti, stando a dati del ministero ì per le Pari opportunità, i clienti supererebbero quota 9 milioni. Non fosse pratica illegale, una ipotetica escort tax potrebbe rimettere in sesto anche i conti della lirica.


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