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Attivismo civico & Terzo settore

Ma non chiamatelo fund raising

La raccolta fondi di Bush vista da un esperto.

di Valerio Melandri

George Bush ha messo in piedi un?efficientissima raccolta fondi che col fund raising, però, non ha niente a che fare. La sua è un?operazione commerciale che risponde alla logica del do ut des: io ti finanzio, tu mi dai una carica pubblica. Una logica della pretesa in cui chi dona si aspetta almeno un bene equivalente a quello che ha dato. Non c?è nulla di male, oggi si basano su questa logica anche molte sponsorizzazioni sociali. Ma le leggi del fund raising sono diverse: chi dona, non pretende nulla. Al massimo, si aspetta un grande bene relazionale e un piccolo bene simbolico. Come quando inviti a cena una persona e ti aspetti che porti dei fiori o un pensiero per tuo figlio. Al di là della macchina messa in piedi da Bush, comunque, bisognerebbe riflettere sul fatto che, per eleggere un presidente, si spende più che combattere la povertà o l?Aids o altri problemi urgenti del mondo. E tuttavia c?è una lezione che i fund raiser italiani potrebbero trarre dalla nuova corsa verso la Casa Bianca di Bush: spingere i membri dei loro consigli di amministrazione a raccogliere fondi sfruttando le loro conoscenze proprio come fanno i pionieri del presidente americano. I numeri dicono che noi siamo forti sulla massa che dona poco, ma dobbiamo imparare a puntare molto di più sui grandi filantropi. Approfittando di uno strumento che per sua natura non ispira fiducia ma che abbatte di molto i costi di fund raising: Internet.


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