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Messico, 17.500 omicidi in sei mesi. Numeri di un paese che sembra in guerra

Nemmeno Siria e Afghanistan raggiungono simili record. Il cancro storico del Paese si chiama narcomafia. L’estradizione di El Chapo Guzman, il leader di una delle bande più terribili, ha lasciato il campo aperto ai gruppi rivali che si stanno dividendo il Messico a suon di pallottole. Ma oggi si aggiungono le migrazioni. «La frontiera dal Nord, con gli Usa, si è così allargata al sud del Messico. Siamo diventati una barriera geografica e militare a servizio degli Stati Uniti», spiega Fernando Garcia della rete per i Diritti Umani della frontiera

di Nicola Nicoletti

Una giovane donna con la faccia tra la porta di ferro e il pavimento, grida con le lacrime agli occhi di lasciarla entrare nel rifugio dove hanno portato il figlio. È l’icona drammatica di cosa si sta vivendo in queste ore in Messico. La ragazza è un’haitiana che non vuole separarsi dal piccolo di 14 mesi. Siamo a Tapachula, in Chiapas, al sud del Paese, terra di confine con il Guatemala, terra calda, in tutti i sensi. Da qui attraversano la frontiera, legalmente e illegalmente, migliaia di uomini e donne ogni giorno. La donna, assieme ad altre persone provenienti dai Caraibi, denunciava la mancanza di acqua e alimenti nel centro dove era stata fermata.

La disperazione dei migranti, la violenza, la paura, sono le sensazione di un Paese che, a parole, sembra prossimo ai miracoli, nei numeri registra una triste realtà di contrasti e disordine.

Ogni ora di maggio sono state ammazzate 4 persone, 2900 sono i morti in media al mese per un bilancio, praticamente, di guerra. Nemmeno Siria e Afghanistan raggiungono simili record. Se si pensa poi ai casi di morte di sacerdoti, giornalisti e politici, il primato è ancora più nefasto. Da dicembre a maggio si è assistito al semestre più sanguinario con 17500 persone ammazzate. Numeri da guerra, anche se è vietato pronunciare questa parola che offende e spaventa politici e industriali.

A parole il presidente del Messico, Andres Manuel Lopez Obrador, quotidianamente risponde per ben due ore di fila, a partire dalle 7, alle domande dei giornalisti. Il programma a reti unificate, riporta uno spettatore non abituato a tali trasmissioni e che abbia letto “Il Grande fratello”, a un clima di dittatura mediatica, dove tutti i canali di news si sintonizzano a Los Pinos, la residenza presidenziale, per ascoltare Amlo, così come qui chiamano con un acronimo il presidente messicano.

Il cancro storico del Paese si chiama narcomafia, la produzione e la vendita di droga che viene smerciata particolarmente con gli Usa. La guerra tra i vari cartelli, ha generato una carneficina dove El Chapo Guzman, il leader di una delle bande più terribili, ha dominato per anni tra Durango, Chihuahua e Culiacán, nel triangulo dorado della droga. Incarcerato finalmente negli Stati Uniti, ha lasciato il campo aperto ai gruppi rivali che si stanno dividendo il Messico a suon di pallottole. L’unica risposta che il governo ha saputo dare è l’istituzione della Guardia Nazionale, una sorta di esercito specializzato che dovrebbe operare nei punti più caldi del Paese, a partire dalle aree con presenza di migranti: i confini.

Per Fernando Garcia di “Red fronteriza de Derechos Humanos” (la rete per i Diritti Umani della frontiera), la Guardia Nazionale rappresenta il muro umano che Trump ha richiesto al Messico. «La frontiera dal Nord, con gli Usa, si è così allargata al sud del Messico. Siamo diventati una barriera geografica e militare a servizio degli Stati Uniti», afferma Garcia. In effetti è il frutto degli accordi commerciali Messico – Usa, pena innalzamento dei dazi commerciali da parte di Trump che hanno fatto tremare il Messico. I migranti ora dovranno escogitare altro per non finire tra le braccia dei soldati che saranno presenti in più lati dei confini dove non cessano le vittime. A ciò dobbiamo aggiungere che il Messico è un Paese enorme, grande come diversi stati europei messi assieme, con tre diversi fusi orari, deserti e foreste, territori di nessuno, impenetrabili quindi per qualsiasi Guardia Nazionale. Ma il problema non è solo nelle sperdute radure del Paese.

In una settimana hanno rapito e poi ammazzato due giovani a Città del Messico. Dopo il triste ritrovamento di Norberto Ronquillo Hernández, uno studente di 22 anni rapito nella capitale e trovato morto dopo aver pagato il riscatto, è stata la volta di Leonardo Avendaño, un seminarista di 29 anni originario di Città del Messico. Laureato in Teologia, aveva un master in Psicoterapia Psicoanalitica. Il 13 giugno, due giorni dopo la sparizione, è stato ritrovato strangolato in un autoveicolo.

«Il Messico ha il maggior aumento di violenza dell’emisfero nell’ultima decade». È la conclusione di “Organized Crime and Justice in Mexico (Crimen organizado y justicia en México)” del programma Giustizia in Messico svolto dalla Università di San Diego assieme alla UNAM, la maggiore università nazionale e le università di Guadalajara, Nuevo León e Puebla, dati drammatici, spesso assenti dai notiziari nazionali.

Ma, nonostante l’insabbiamento di informazioni e ricerche su questo tema sui maggiori media e le preoccupazioni del governo Obrador, esplicitate nella delibera che permette ai ragazzi l’uso della gonna a scuole, aumentano vertiginosamente criminalità e sequestri.

Anche Papa Francesco ha espresso il suo dolore vedendo la foto dei corpi senza vita di Oscar Martinez e di Valeria, la figlia di 1 anno e 11 mesi, vittime di una dramma simile a quella del piccolo Aylan. Partiti carichi di speranza dal Salvador, sono affogati nel Rio Bravo, a confine con gli Usa mentre varcavano il confine con gli Usa, segno inequivocabile di una tragedia continua fatta da persone in fuga, crimini e false promesse.


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