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Milano, esci dalla logica dell’assedio

Uno stralcio dell’intervento di don Colmegna durante un incontro con la neoborghesia milanese, invitata da Gad Lerner e Aldo Bonomi, a riflettere sul proprio ruolo nel fare società...

di Virginio Colmegna

La scadenza che Milano si era data per risolvere la vicenda dei rom sgomberati a dicembre da via Ripamonti era il 31 marzo. Quella era la data entro cui i rom avrebbero dovuto lasciare le tende posizionate provvisoriamente a Opera. Da Opera, come sappiamo, se ne sono andati prima. I rom sono stati accolti provvisoriamente al Ceas – Centro ambrosiano di solidarietà, una struttura che ospita persone in difficoltà e che già da un anno e mezzo accoglie i rom sgomberati dal campo di via Capo Rizzuto.

L?impegno è stato rispettato. Venerdì 23 marzo il Prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, ha dato disposizione per allestire un piccolo villaggio destinato all?accoglienza su un terreno di 8mila metri quadri di proprietà del Comune di Milano, sito all?interno del Parco Lambro e adiacente al Ceas. Sull?area si costruirà un piccolo villaggio della solidarietà, fatto di prefabbricati. I primi ad abitarli saranno i rom di Opera, ma non con un?assegnazione definitiva. Le famiglie infatti sono già state inserite in un percorso di accompagnamento verso l?autonomia che la Casa della Carità ha già sperimentato con successo con alcune famiglie del nucleo di via Capo Rizzuto.

Pubblichiamo di seguito uno stralcio dell?intervento di don Colmegna durante un incontro con la neoborghesia milanese, invitata da Gad Lerner e Aldo Bonomi, a riflettere sul proprio ruolo nel fare società. Il testo completo dell?intervento sarà pubblicato sul prossimo numero di Communitas, Banlieue. Milano, Parigi, Nairobi, San Paolo. Comunità e periferie nelle città-mondo, in regalo con il numero 15 di Vita in edicola dal 14 aprile.

di Virginio Colmegna
Milano metropolitana è piena di sacche di disagio, disperazione, abbandono dove può esplodere e diffondersi una minaccia continua alla serenità e fiducia, facendo sorgere una sorda violenza, serpeggiante sotto pelle. Diventa allora necessaria la ricerca della piccola cerchia protettiva, l?isola degli identici, la privatizzazione spinta dell?amicizia, della socialità. La società della cittadinanza si spezza, si frammenta, regredisce nel clan, spesso affidato alla forza del numero, della protesta, sconfina nella ideologia dello scontro. La stessa politica come gestione del bene comune, degli affari e interessi di tutti è lasciata ai conflitti prossimi, che abbiamo immediatamente addosso e dentro, nel livello micro. Alla conflittualità esasperata non si deve concedere il titolo di regime della storia. La vera storia è il tessuto continuo della vita piena di pace, condivisione dove guerra e violenza ne sono uno strappo. Ecco perché conviene riflettere e pensare non lontano dal quotidiano, ma partendo dai luoghi fisici o interiori dove si sta male, per far capire che si può vivere meglio, raccontare che si può e si deve condividere una prossimità più felice.

Per questo non si può separarci, ma fare una cammino comune, stando nel mezzo dei problemi, affrontandoli, correndo il rischio del possibile. Questo stiamo sperimentando in questo periodo come Casa della Carità, insieme a quanti protestano, ci individuano come responsabili di un disagio che loro vorrebbero utilizzare, descrivere ma lasciarlo ad una prova di forza. Stare in mezzo è più faticoso, ma forse è l?unico percorso carico di futuro. Questa città è anche di chi pensa che per vivere lo sviluppo non si può allontanarsi dal quotidiano. È un discorso anche economico. Non servono solo bravi samaritani, ma anche locande che curano e permettono di viaggiare. Avremmo davvero bisogno e urgenza di una città che pensa e riflette anche partendo dai non luoghi, dalle ?vite di scarto?. Non siamo sotto assedio, ma dobbiamo faticare nella concretezza e consegnare alla cultura questa ricchezza problematica del vivere. Forse si deve rompere la pseudocultura dell?assedio vivendo esperienze buone di mediazione. Qui è la logica dello stare nel mezzo, del condividere anche la paura ma per fare un cammino comune, un patto nuovo di cittadinanza.

Ma per questo occorre riflettere, raccontare in positivo in città dove vi è ancora il sentimento di una amicizia ospitale che, appunto per questo, è seriamente legata a progetti di positività e legalità.


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