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Nell’ora del travaglio

Ottavo appuntamento con i racconti dell’estate: Enzo Fontana

di Enzo Fontana

Ci si metta nei panni di un tale che la sera che nacque sua figlia dovette tornare in prigione. Gli avevano dato una breve licenza. Insieme con la moglie sperava che la nascita fosse per uno di quei giorni. Questo dicevano i calcoli della scienza. Passò il primo giorno e della figlia sentì solo il battito del cuore amplificato da una macchina. Il secondo giorno appoggiando un orecchio al pancione la sentì muoversi. Così, di giorno in giorno, alla ricerca di altri segni, di altri indizi di una nuova vita, si arrivò al sesto e ultimo giorno della genesi. Ormai la speranza di poter esserci ad accogliere la propria creatura a questo mondo dileguava nell?animo del nostro uomo. Solo la donna aveva ancora un barlume di speranza. poche ore prima dell?ora in cui scadeva la licenza incominciarono le contrazioni, febbrilmente cronometrate. All?ospedale il medico ginecologo confermò: «Sono incominciate le doglie». Il tempo passava e il personaggio del nostro racconto si ritrovò accanto alla sua donna nell?ora del travaglio. Erano soli in una stanza dalle luci basse, lui in camice verde, cuffia e mascherina, lei distesa sul lettino le contrazioni che le arrivavano come onde dal mare interiore. Il parto, che avevano sperato naturale, si annunciava complicato e dolorosissimo. I minuti passavano e venne il momento della separazione. L?uomo si chinò sulla donna e la baciò sulle labbra aride e poi le disse: «Non posso più restare». «Vai…!» gli sussurrò la donna. Prima di andarsene le baciò anche il pancione. Uscì dalla stanza con lo sguardo perso e l?animo straziato, e mentre si toglieva camice e mascherina si imbattè in un?infermiera della sala-parto. «Ma dove sta andando?» gli chiese quella, sorpresa. «Ho un aereo tra mezz?ora per l?altra parte del mondo…». «Sua moglie partorisce e lei vola in America?» lo rimproverò l?infermiera incredula, forse considerandolo un matto o un mostro di cinismo. Ma l?uomo aveva altro che la vergogna cui pensare. Mancavano trenta minuti al rientro e ce ne sarebbero voluti almeno venti per raggiungere il carcere. Con un tuffo al cuore l?uomo vide che fuori dall?ospedale non c?era nemmeno un taxi. Ne aveva sempre visti in lunga teoria, ma quella era la sera dell?Epifania e non si trovava un taxi nemmeno a pagarlo a peso d?oro. Il fuggitivo era nella più totale confusione quando, simile a un miraggio, vide un taxi che si fermava davanti al Pronto Soccorso dove un matto, che soleva chiamare a vuoto, come ogni sera aveva fatto la solita chiamata. Prese quel taxi al volo e quasi si accasciò sul sedile. L?autista era mezzo ubriaco, ma se ne sarebbe accorto solo al momento di pagarlo. Viene da sorridere al pensiero che quest?uomo, ora oppresso dalla necessità di rientrare, per tanto tempo, nei primi anni di prigione, avesse cercato con ogni mezzo una via di fuga. Ora però era consapevole che le conseguenze di un suo ritardo, anche solo di pochi minuti, sarebbero potute essere disastrose. Le guardie carcerarie avrebbero redatto un rapporto disciplinare, con il rischio di non farlo più uscire in licenza, e con la certezza che, comunque, le licenze gli sarebbero state sospese per mesi. Per mesi non avrebbe potuto vedere la figlia che veniva al mondo quella sera, dal momento che mai avrebbe accettato di vederla nella sala-colloqui del carcere. Il taxi giunse alle porte della prigione qualche minuto prima della scadenza. Di guardie ce ne sono di buone e di cattive. Il capoposto di quella sera era una carogna e gli rese il rientro ancora più amaro. Finito l?umiliante rituale d?ingresso in carcere, l?uomo fu ricondotto alla cella che aveva lasciato. Quando le due porte della cella furono richiuse alle sue spalle, soltanto quando fu solo nel buio l?uomo si lasciò andare a un pianto dirotto, un pianto che aveva trattenuto dal momento che aveva dovuto lasciare la propria donna sola nel travaglio. Andò alla finestra e tra le lacrime e le sbarre vide la luna. Si mise a pregare non con parole rituali, ma con parole sue. Poi accese la luce pensando di scrivere una lettera alla moglie, ma rimase come fuori dal tempo e alla fine si rese conto che era meglio deporre la penna. Spense la luce, si mise sulla branda raggomitolato in posizione fetale. Era certo che non avrebbe chiuso occhio, anzi che si sarebbe sentito un verme alla sola idea di dormire, mentre sua moglie soffriva e la loro bambina lottava per venire alla luce. Le immaginava stremate. Forse nemmeno ebbe coscienza della tremenda tensione che calava, ma ad un certo punto della notte si sentì sereno. – È nata… – pensò sprofondando in un sonno da anestesia totale, senza angoscia e senza dolore. Si svegliò prima dell?alba con un pensiero: – Anche loro riposano -. E ritornò ad addormentarsi. Il mattino riprese il suo posto nella biblioteca del carcere. Era solo, come sempre, e lo sguardo vagava di libro in libro, quando lo mandò a chiamare il cappellano. L?uomo dei libri balzò in piedi angosciato, perché non comprendeva la ragione della chiamata. Bisogna sapere che in carcere il cappellano non è solo il tramite della ?buona novella?, ma anche il messaggero delle comunicazioni più dolorose. L?uomo si mosse con le gambe che gli tremavano dalla paura. Lo assalì il dubbio che il diavolo ci avesse messo lo zampino, ma come vide il prete, un volto contadino dall?espressione gioviale, capì che non aveva cattive notizie da dargli. Parlarono un po? e l?uomo sentì il bisogno di confidarsi con qualcuno capace di mantenere un segreto. Insomma disse al prete quello che non aveva detto a nessuno, che la sera o la notte precedente doveva essergli nata la figlia. Il cappellano si offrì subito di andarlo a verificare, anche per mettere fine all?ansia di un povero cristiano. Stava per muoversi quando venne una guardia a chiamare il prigioniero: «Colloquio!». Altri passi nell?incertezza verso la sala dei colloqui. Ma come il prigioniero intravide in lontananza il volto sorridente dell?amico che veniva a trovarlo, gli sembrò di rinascere. E quando si sentì salutare con un ?ciao, papà!? sentì un?emozione intensissima, come non aveva mai provato. Quella persona indimenticabile gli disse che il parto era stato molto doloroso e lacerante, ma che alla fine tutto era andato bene, grazie a ?l?amor che move il sole e l?altre stelle?. Il prigioniero gli chiese l?ora e il minuto della nascita. Come gli fu rivelata, fece un rapido calcolo e quindi commentò con felicità velata di tristezza: «Nel momento in cui mia figlia nasceva anch?io ero nudo. Mi trovavo nel vestibolo del carcere e, facendo una flessione davanti alle guardie, nudo». Ritornato in cella scrisse una lunga lettera alla moglie, e questa volta le parole gli uscirono di vena. Scrisse anche una seconda lettera, intensa e breve, indirizzandola alla figlia. Non è possibile rivelare quel che il prigioniero scrisse ad una creatura che era a questo mondo da poche ore. Inviò le due lettere, la seconda con un sigillo che solo la bambina di questo racconto un giorno potrà spezzare. Enzo Fontana: uno scrittore sulle orme di Dante Alighieri Prosegue la serie dei racconti inediti scritti da affermati autori appositamente per ?Vita? sul tema ?Genitori e figli?. Questa settimana è il turno di Enzo Fontana. Nato a Milano nel 1952, ha pubblicato il saggio ?Le prigioni dei media? (Spirali, 1988), il romanzo ?Il fiore di Mnemosine? (Spirali, 1989), il dramma teatrale ?Labyrintos? (Guaraldi, 1989) e infine il romanzo ?Tra la perduta gente ? (1996, Mondadori-Guaraldi), che racconta l?ultimo periodo della vita di Dante Alighieri. Attualmente vive in Trentino-Alto Adige, dove fa il giornalista nella redazione di un quotidiano locale. Sugli scorsi numeri abbiamo già pubblicato i racconti di Luca Doninelli, Davide Rondoni, Bruno Rinaldi, Raul Montanari, Sandro Onofri, Erri De Luca e Vincenzo Gambardella. Prossimamente sarà il turno di Chiara Zocchi, Aurelio Picca, Dario Voltolini, Tiziano Scarpa, Paola Capriolo.


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