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Non mollano mai gli amici di Raoul

Un medico italiano, da dieci anni in Mozambico con Aifo, racconta la battaglia quotidiana contro il morbo di Hansen, che l’Oms sembra aver fretta di dichiarare debellato.

di Paolo Giovannelli

Una carriera da cardiochirurgo lasciata a metà. L’Italia abbandonata per un paese allora piuttosto ?a rischio? come il Mozambico. Tutto nel 1990. Un giorno in cui Leonida Compostella, di Novi (Vicenza), classe1950, nella bianca cappella dell?ospedale di Pisa, città dove s?era recato per partecipare ad un concorso pubblico, chiede a Dio un ?favore?. Un semplice, chiaro segno: «Signore», prega il medico, allora aiuto cardiologo a Bassano del Grappa, «fammi vincere il posto da primario cardiochirurgo, oppure fammelo perdere e indicami così che la mia strada è quella di seguire lo stesso percorso del mio amico medico dell’Aifo in Africa, in aiuto dei lebbrosi». La risposta celeste sembra quasi una sfida, anzi una prova ancora maggiore. Compostella arriva secondo al concorso pubblico. Un risultato che avrebbe reso chiunque ancora più indeciso, visto che la possibilità di una brillante carriera era a portata di mano. Il medico consulta allora la famiglia, la moglie Giovanna e le due bambine Caterina e Francesca, undici e nove anni. E decide di partire sulle orme di Raoul Follerau. Oggi il dottor Compostella coordina per Aifo il progetto di sanità di base a Hemoine. Racconta della diffusione del morbo di Hansen: «Circa un milione di persone, in questo momento, sono sottoposte al trattamento sanitario antilebbra», spiega. «Sappiamo inoltre che, ogni anno, si registrano altri 800 mila casi nuovi di questa malattia che può portare alla morte e invalidare gravemente. Molti sono concentrati in India e in Brasile. Complessivamente l’Organizzazione mondiale della sanità calcola che oggi esistano circa 12 milioni di ammalati nel mondo». L?Oms sembra voler dichiarare in fretta che la malattia è stata eliminata. «Si rischia di smantellare i programmi nazionali contro la lebbra, cosa che molti governi stanno già facendo. Ritengo che il livello di guardia andrebbe piuttosto alzato, nell’intento di dichiarare presto la sua cancellazione definitiva dal mondo». Intanto l?organizzazione ginevrina ha ridotto a 12 mesi i tempi sanitari di trattamento, cosa che è stata subito recepita da alcuni Paesi. «È accaduto anche in Mozambico», conferma Compostella. «Ma si tratta di un grave errore. Non ci sono infatti tuttora dati scientifici che giustifichino l’abbassamento della somministrazione della olichemioterapia (l’efficacissimo cocktail di farmaci, fatto di rifampicina, clofazimina e dapsone, ndr), passata da due anni ad un solo anno. Eppure è noto che si tratta di una cura da somministrare scrupolosamente e che ha effetti positivi solo dai 18 mesi in avanti». La lebbra, come ricorda l?Aifo, ha invece un periodo di incubazione lunghissimo, che può andare da pochi mesi a 40 anni, anche se i primi segni si vedono, in media, dopo 7 anni. «Il rischio che corriamo è che la malattia torni a manifestarsi fra qualche decennio, quando l?Oms la considererà debellata e non saremo più capaci di curarla. Non è fantascienza: qualcosa di analogo è già accaduto in Europa con la tubercolosi, attorno agli anni Settanta». Ad Homoine, un distretto abitato da circa 95mila persone a 90 chilometri nell?entroterra, a Nord della capitale Maputo, Leonida Compostella è l’unico medico e si occupa anche del distretto vicino, che ha le dimensione della regione Lazio e 35 mila abitanti. Dal maggio scorso, Aifo sta recuperando l?ospedale principale, costruendo due padiglioni nuovi per gli ambulatori e altri due per accogliere le degenze. «Ora abbiamo 42 malati ricoverati e solo12 letti. Gli altri giacciono su stuoie» racconta il medico. Accanto alla lebbra, nel centro mozambicano sono presenti malati di altre patologie, come la malaria (con oltre 1000 casi al mese), la tubercolosi e altre malattie parassitarie. Info.: Aifo, tel. 051.433402 aifo@iperbole.bologna.it


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