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Non siate zitelle, ovvero siate generative

«Siate madri e non zitelle», aveva detto Francesco alle 800 suore radunate in Vaticano. Una frase apparsa un po’ ruvida e venata di maschilismo. Ma che a rifletterci contiene tante verità propositive. Le spiega a Vita.it Chiara Giaccardi, docente di Lettere e Filosofia alla Cattolica di Milano

di Chiara Giaccardi

Ha fatto clamore l'esortazione rivolta da Papa Francesco a 800 suore riunite in udienza l'8 maggio scorso: «Siate madri e non zitelle». A molti la frase è parsa un po' troppo ruvida, poco rispettosa, magari anche venata di maschilismo.

Si può “scontare” a Papa Francesco il fatto che l'italiano non sia la sua lingua madre; e, come tutti noi che a volte cerchiamo di esprimerci in lingue non nostre sappiamo bene, parlare la lingua di altri porta a inevitabili e volte grossolane semplificazioni e rende difficile padroneggiare tutte le sfumature.

Ma forse non si tratta di un effetto collaterale accidentale, bensì di un'affermazione del tutto consapevole, che proprio per la sua apparente durezza costringe noi “nativi linguistici” a ritornare sul significato più profondo e autentico delle parole che usiamo comunemente, per rigenerarlo spezzando le incrostazioni che l'uso comune vi ha depositato.

E “zitella” non nasce certamente come un insulto. È anzi una sorta di vezzeggiativo, che indica una ragazza (definita dalla sineddoche che eleva un attributo fisico della sua femminilità – il seno – al tutto) nella fase ancora acerba in cui le fattezze sono già definite, ma tutto deve ancora succedere. Da “non sposata perché non è ancora il momento” a “non sposata perché ha perso il momento” il passo è breve nella nostra cultura non proprio female friendly. Ma un elemento accomuna questi due momenti di “non ancora”- caratterizzato da attesa e speranza- e “non più”- caratterizzato da un senso di perdita che rischia di rovesciarsi in risentimento e mancanza di benevolenza: il “non”.

Il rischio che Papa Francesco sottolinea senza “mettere i guanti” è quello che vale per le suore come per ogni essere umano: passare da un orizzonte di attesa, in cui tutte le possibilità sono ancora aperte proprio perché ancora non se ne è realizzata nessuna di veramente significativa, a uno di rimpianto per quello che non si è riusciti a essere.

Essere madri e non zitelle significa compiere quel salto che, mentre inevitabilmente preclude la possibilità di realizzare “qualsiasi” cosa, legandoci a una scelta specifica che ne esclude altre, nello stesso tempo consente alla libertà di non rimanere in una virtualità paradossale – il puro gioco delle possibilità, che si dissolve non appena si cerca di realizzare qualcosa, ed è quindi condannata a non esistere mai.

Ê questa precisamente la condizione del generare. Che ci chiede di legarci a qualcuno, di scegliere un posto nel mondo (e quindi di rinunciare ad altri), di chiudere in un certo senso l'orizzonte delle possibilità per poterlo, paradossalmente, aprire alla vita. Il “sì” diventa veramente fecondo, come quello di Maria, se è un donare se stessi accettando di essere attraversati e trasformati dalla vita, ben al di là di quanto la nostra immaginazione può prefigurare, e dunque con coraggio. C'è insieme il massimo della volontà e il massimo dell'affidamento. E da questa apertura responsabile che può scaturire il nuovo, che rinnova noi stessi prima di tutto.

Ne L'infanzia di Gesù , J. Ratzinger riporta quanto usavano dire i  Padri della Chiesa: che Maria «avrebbe concepito mediante l'orecchio – e cioé: attraverso l'ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola ė entrata in lei ed ė diventata feconda».

L'ascolto è condizione necessaria, ma non ancora sufficiente per generare. Occorre farsi grembo, accettare di essere trasformate, senza paura di “perdere” o di “tradire”. Non è restando uguali a se stessi che si è fedeli, ma accogliendo e lasciandosi attraversare dalla vita. 'Non abbiate paura', direbbe Giovanni Paolo II, con lo stesso significato.

Il rischio della sterilità, che non è certamente solo biologica, ma anche esistenziale, colpisce tutti, uomini e donne, laici e consacrati, soprattutto oggi.

Quello che Papa Francesco ha richiamato con forza alle suore è che da questo rischio nessuno è immune, e che solo da “generativi”, capaci di legarsi a qualcosa per far essere qualcosa d'altro, dotato di valore, si può scongiurarlo.


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