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Piccoli imprenditori crescono

Presentato il rapporto Ethnoland. In cinque anni triplicato il numero delle Pmi a conduzione straniera

di Daniela Verlicchi

Come negli anni ’60, i protagonisti dello sviluppo arrivano dal Sud. Diversamente da allora però hanno un permesso di soggiorno e parlano straniero. Secondo fondazione Ethnoland che ha presentato stamattina al Circolo della Stampa di Milano il rapporto 2008 sull’imprenditorialità straniera in Italia, gli immigrati stanno facendo rivivere in alcune regioni del Nord quel che avvenne negli anni ’60 e 70’ grazie all’esodo dal Meridione: il boom delle piccole e medie imprese a conduzione famigliare. Con un’unica differenza: il fenomeno non riguarda solo il Nord ma tutta Italia.

IL TREND. E i numeri lo confermano. A giugno 2008 erano 165 mila e 114 gli immigrati titolari di un’impresa nel nostro Paese: un dato che risulta triplicato negli ultimi cinque anni. A oggi una pmi ogni 33 è gestita da uno straniero. E il trend di crescita è in costante aumento: l’85 % delle imprese etniche è stata fondata meno di 8 anni fa e, secondo Ethnoland, il loro numero aumenta di 20mila unità l’anno (a fronte di un indice di crescita delle pmi ormai stabile). Perché gli stranieri sono tanto propensi a mettersi in proprio?

IL FATTORE E. Alla base della scelta spesso c’è un ragionamento di tipo economico (dettato soprattutto dal fatto che il salario dipendente per cittadini stranieri è in media il 40% inferiore a quello percepito dagli italiani) ma creare un’azienda è anche un modo per scrollarsi di dosso pregiudizi ed etichette. E poi c’è il fattore «etnia»: diverse, infatti, sono le propensioni all’imprenditorialità delle varie comunità. I marocchini, ad esempio, sono titolari di un sesto di tutte le iniziative imprenditoriali di stranieri. Solo 400 imprese invece sono gestite da filippini. Negli ultimi 5 anni, poi, sono entrati nel mercato anche romeni ed equadoregni.
Senza sorprese invece il dato sulla disparità di genere ai vertici delle imprese: solo un sesto delle imprese etniche è diretto da una donna.

NON SOLO AL NORD. La crescita interessa tutt’Italia e non solo il Nord. Certo, Milano e Roma contano rispettivamente 17mila e 15mila imprese etniche (e la Lombardia circa 30mila) ma in regioni come Calabria, Sicilia e Sardegna il tasso d’imprenditorialità straniera ha raggiunto quello italiano (ci sono tra i 2mila ei 4mila titolari di aziende per regione).

MATTONE e SERVIZI. Gli investimenti stranieri sono concentrati in pochissimi settori: 8 imprese su 10 si occupano di edilizia o servizi alla persona. Preponderante anche il settore del commercio dove i nordafricani la fanno da padroni. Anche per il settore di specializzazione conta molto il fattore etnico: i marocchini sono maggiormente dediti al commercio, romeni e albanesi all’edilizia e i cinesi al commercio e all’industria manifatturiera.

FISCO. Tante imprese, molto reddito ma anche un discreto gettito fiscale. Gli etnoimprenditori nel 2007 hanno pagato 5, 5 miliardi di euro al fisco italiano. A livello previdenziale invece, i dati Inps parlano di un contributo complessivo di altri 5 miliardi di euro l’anno. Per quel che riguarda i «costi» dell’integrazione, Ethnoland ha calcolato che i Comuni italiani spendono circa 700mila euro per i servizi d’integrazione: meno di un quinto delle tasse pagate dagli stessi stranieri per lavorare in Italia. Qualcuno dovrebbe spiegarlo al ministro Maroni.

info: www.cisiamo.eu


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