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Famiglia & Minori

Più della povertà poté l’indifferenza

Basta con le polemiche sui numeri: nel dibattito politico attuale, nella società civile e nell’informazione non c’è un’attenzione seria alla realtà dell’emarginazione.

di Chiara Saraceno

È sorprendente, oltre che sconfortante, la sciatteria e casualità con cui i media spesso affrontano la questione della povertà. Così, gli stessi dati vengono presentati magari dallo stesso giornale o programma radiotelevisivo a distanza di mesi come se fossero nuovissimi. Ciò sarebbe poco male, se servisse a rinfrescare la memoria, a promuovere un dibattito o una verifica su che cosa si sta facendo, o non facendo. Non mi aspetto certo saggi scientifici, ma un po? più di memoria, di attenzione per i dati, di consapevolezza per la complessità e varietà interna del fenomeno della povertà, e anche di attenzione per le politiche. Troppo spesso, invece, trovo un interesse frettoloso, errori madornali più o meno intenzionali, ?strilli? più o meno scandalistici seguiti da pesantissimi silenzi, che accompagnano e raddoppiano quelli della politica, che non riesce a fare della povertà un tema nazionale di rilievo. Di quali dati si parla? Per quanto riguarda i dati, è bene quindi ricordare che le ultime stime della povertà sulla base dei dati della Indagine sui consumi dell?Istat risalgono al luglio scorso e riguardano la situazione nel 1998. Nuove stime, riguardanti il 1999, non ci saranno prima del prossimo giugno-luglio. Queste stime davano un 11.8% (sostanzialmente stabile rispetto all?anno precedente) di famiglie povere secondo il criterio della povertà relativa, cioè considerando povero chi consuma meno della metà del consumo medio pro-capite. Questa quota scende a 4.4% se si utilizza invece il criterio della povertà cosiddetta assoluta, considerando cioè povero chi non riesce ad avere accesso neppure al paniere di beni (consumi) considerato essenziale per sopravvivere in modo decente. I due criteri non vanno considerati in opposizione, ma in modo complementare. Il primo ci dà indicazioni sulla quota di famiglie e persone che non riescono a rientrare nella media per difetto di risorse (e possiamo anche sapere di quanto non riescono, cioè quanto intensa è la povertà). Il secondo ci dà indicazioni invece sulla quota di coloro che, a prescindere dalla media, non riescono ad avere consumi alimentari, per l?abitazione, per la salute, ecc. al minimo della adeguatezza. Purtroppo la mancanza di dati longitudinali, che seguano cioè le persone e le famiglie nel tempo, non ci consentano di sapere se e per chi l?esperienza della povertà è un fenomeno transitorio, di breve periodo, o viceversa dura per diversi anni. La mancanza di questo tipo di dati, tra l?altro, non consente di mettere a punto politiche adeguatamente differenziate e prima ancora di avere una visione meno uniforme dei poveri. Possiamo invece valutare le tendenze nel tempo, non solo relativamente alla diffusione della povertà, ma anche relativamente alle caratteristiche di chi si trova in povertà. Così, a seguito di uno studio commissionato qualche anno fa dalla Commissione di Indagine sulla povertà ed Emarginazione Sociale (ora divenuta Commissione sulla Esclusione sociale) sappiamo che dal 1980 fino alla seconda metà degli anni ?90 se è rimasta simile, e forse si è accentuata, la concentrazione territoriale della povertà nel Mezzogiorno, le famiglie e i gruppi di età maggiormente a rischio di povertà sono molto cambiati. Nei primi anni ?80 erano ancora gli anziani a costituire il gruppo più numeroso tra i poveri. Oggi tra i poveri sono soprattutto le famiglie numerose con figli minori e quindi i bambini e gli adolescenti a sopportare in modo sproporzionato il costo della povertà. Questo cambiamento, se segnala il successo delle politiche pensionistiche che hanno messo al riparo dalla povertà soprattutto le generazioni dei grandi anziani e anziane che venivano da storie contributive frammentarie, segnala viceversa i costi di una mancata politica di sostegno al costo dei figli, cioè di misure del tipo assegni per i figli esistenti nella maggioranza degli altri Paesi, cui si inizia a rispondere in modo timido e del tutto insufficiente ora con l’introduzione dell’assegno per il terzo figlio minore nelle famiglie a basso reddito; segnala anche i costi di politiche del lavoro inadeguate, di sostegni a chi si trova privo di lavoro frammentari e squilibrati, di sostegni al lavoro delle donne con responsabilità familiari del tutto carenti. Le politiche di contrasto A fronte di questa situazione governo e Parlamento dal 1997 hanno iniziato a muovere primi, timidi, passi in direzione di una politica di contrasto alla povertà. Essi tuttavia rimangono non solo molto al di qua del bisogno, ma non si avvicinano neppure lontanamente agli ambiziosi programmi ? in termini di definizioni di obiettivi e di percorsi verificabili – messi di recente in campo da molti Paesi europei che pure hanno da tempo politiche e singole misure di ben altro rilievo: penso alla Francia, all?Irlanda, alla Gran Bretagna, e più recentemente al Portogallo. Ho già ricordato l?introduzione dell?assegno per il terzo figlio; un?altra misura è il sostegno al costo dell?affitto. La misura in prospettiva più ambiziosa, anche se non assolutamente pensabile come l?unica, è il reddito minimo di inserimento attualmente in corso di sperimentazione in 39 città. È una innovazione forte nel nostro Paese, non solo sul piano del metodo ? in quanto è costituita insieme da sostegno al reddito e misure di accompagnamento e richiede una forte integrazione tra settori e servizi ? ma dello stesso policy making: viene sperimentata prima di essere messa a punto per la generalizzazione, e viene valutata da un istituto indipendente. L?incertezza del quadro istituzionale tuttavia ? non vi è nessun impegno formale a generalizzare questa misura con tutte le correzioni necessarie ? unita all?assenza di una attenzione seria non solo nel dibattito politico, ma nella società civile e nel mondo della informazione per la povertà, più ancora che la scarsità delle risorse, gettano ombre sulla possibilità che ad uno sforzo così grande e serio faccia seguito una iniziativa altrettanto seria. Come diceva Ermanno Gorrieri, presidente della prima Commissione Povertà, nel nostro Paese, purtroppo, i poveri non trovano ascolto e la povertà non sembra una cosa abbastanza seria per occuparsene in modo non estemporaneo.


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