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Attivismo civico & Terzo settore

Professori e infermieri, due destini amari e paralleli

Può un sistema scolastico reggersi solo sull'eroismo di una parte dei suoi elementi?

di Giuseppe Frangi

Perdonate il riferimento personale: ma tornando spesso tardi a casa la sera, un’infinità di volte mi capita di trovare mia moglie ancora al lavoro con una pila di compiti in classe davanti o con i libri aperti per preparare le lezioni dell’indomani. Lei è una semplice, appassionata insegnante di italiano in una scuola media dell’hinterland milanese. Il suo contratto parla di 18 ore settimanali, in realtà ne fa più del doppio. Insegnare è la sua passione ed è di quelle che lo farebbero anche gratis. Può un sistema scolastico reggersi solo sull’eroismo di una parte dei suoi elementi? La risposta ovviamente è no. Ma la realtà italiana è ridotta a reggersi solo su questo valore aggiunto, senza poter più contare sulle strutture primarie. Un esempio: se domani i presidi, responsabili legali degli istituti, decidessero di far entrare gli alunni solo negli edifici a norma, per il 90% dei nostri figli sarebbe un bel giorno di vacanza. Questo succede per una deroga, secondo la quale a nessuna scuola si chiede, nei fatti, di rispettare le norme che qualunque sede di associazione o qualunque oratorio deve rispettare. Un rapporto di Legambiente del mese scorso parlava di un 50% di edifici con 40 anni e più anni di età, e di situazioni paradossali come la Calabria, dove, pur in presenza di calo demografico, il 23% delle scuole ospitate presso ex abitazioni, o della provincia di Catanzaro con il 70,4 per cento di istituti organizzati in doppi turni. La questione della vicinanza di antenne e del conseguente inquinamento da elettrosmog è un fenomeno più recente e quindi parzialmente scusabile. Ma sarebbe bello sapere come non si sia potuto evitare che una scuola elementare romana, la Leopardi a Monte Mario, si trovi accerchiata da 10 tralicci, di cui 8 a 30 metri e due dentro il recinto stesso dell’edificio. Intendiamoci, non abbiamo dubbi che la pressione della società civile e delle famiglie sia un elemento decisivo che in molti casi costringerà a rimediare quanto meno alle situazioni più inaccettabili . Tuttavia resta una domanda di fondo molto più inquietante: quanto l’Italia vuole davvero investire nella scuola? Rispondendo a questa domanda, purtroppo, si scoprirà che la fatiscenza degli edifici è solo la faccia più visibile di una fatiscenza istituzionale ben più drammatica. Le parti politiche quando si occupano di scuola lo fanno solo in vista di un’egemonia. Un’egemonia culturale da parte della sinistra (che per esempio smantella l’insegnamento della storia per farne una palestra ideologica: basta leggere gli interventi Chiara Frugoni, storica di sinistra, su Repubblica per rendersene conto); la destra invece punta su un’egemonia sociale, mettendo al centro la questione delle private che per quanto non priva di legittimità, non è certo la questione cruciale della crisi del nostro sistema scolastico. Una scuola pubblica ben funzionante non è la soluzione migliore e più democratica alla libertà d’insegnamento?. Come dice Luigi Bobba, nell’intervista a pagina 9, solo l’investimento sul sapere di ogni uomo, garantisce un futuro più giusto e vivibile, più rispettoso dell’ambiente, più ricco di creatività. La parola investimento ha anche un risvolto molto prosaico: quanto s’intende investire in soldi perché la scuola sia all’altezza dei suoi straordinari compiti? Una prima risposta l’avranno purtroppo gli insegnanti stessi che il 27 maggio si troveranno in busta paga il magro aumento del loro sudatissimo contratto. Un aumento che conserva loro l’ultimo posto tra i loro colleghi europei. Naturalmente possono sempre consolarsi guardando chi sta peggio: come gli infermieri, che il 30 marzo scenderanno in piazza. Negli ultimi anni non si trova più chi vuole fare il loro mestiere e, chi può, va a fare altro. E forse non a caso sono le professioni che per statuto si prendono cura delle persone, degli uomini. La ragione? Guardate la loro busta paga e capirete. Intanto il ministro Veronesi ha presentato in pompa magna i nuovi ospedali-modello progettati da Renzo Piano. Peccato che non ci abbia detto se a curare i malati ci metterà dei robot…


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