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Public/Private Procurement and Social Impact Rating – Da UK un esempio interessante

di Alessandro Mazzullo

Recentemente mi è stato chiesto, anche in sede parlamentare, come valorizzare la capacità economica di realtà importanti dell’Economia sociale.

Pensiamo, innanzitutto, a quelle imprese che si occupano di disagio sociale, occupando persone. Ovvero, superando la logica del mero assistenzialismo, e offrendo loro un lavoro e, quindi, valore, dignità, importanza e ruolo sociale!

Si tratta di imprese speciali, tuttavia, che, pur facendo del bene, affrontano costi gestionali evidentemente diversi e superiori rispetto ai competitors meramente for profit.

Come tenerne conto, aiutando il Sociale a crescere economicamente ed il For profit a crescere socialmente?

Una leva importante è quella suggeritomi, a suo tempo, dall’amica Anna Fiscale di Quid – fondatrice di una delle imprese sociali più belle che conosca: incentivando e orientando la domanda (pubblica e privata) di beni e servizi nei confronti di questi fornitori speciali che, alla qualità del prodotto, possono aggiungere quel Quid in più: l’impatto sociale.

Guardiamo, ad esempio, a quel che sta accadendo oltre Manica.

Il Governo inglese sta seriamente pensando di orientare la propria spesa pubblica in tal senso, riconoscendo nelle gare pubbliche un punteggio significativamente maggiore a quelle imprese (soprattutto sociali) che siano in grado di fornire, a parità di qualità economica del prodotto o del servizio, un valore sociale aggiuntivo.

Il 10 giugno scorso, il Cabinet Office ha ufficialmente chiuso un’interessante consultazione pubblica al riguardo (qui il link). Sul versante del private procurement, invece, si veda l'interessante iniziativa di questo portale.

Anche l’Italia, in linea con le Direttive UE del 2014, potrebbe implementare un analogo meccanismo.

Un meccanismo che risulterebbe tanto più efficace, quanto più agganciato alla misurazione dell’impatto sociale effettivo delle singole imprese fornitrici.

Il problema rimane quello metrico.

Da tempo vado sostenendo la necessità di un’infrastruttura in grado di certificare quello che ho chiamato “social rating”, in analogia con il rating di legalità ed il rating di impresa già esistenti nel nostro ordinamento.

Non so quanto tempo ci vorrà, ma son convinto che accadrà.

Se funzionasse, son convinto che lo stesso meccanismo pervaderebbe anche il settore del for profit puro, sempre più attento ad un ritorno sociale, anche indiretto, della propria attività lucrativa.

Pensate ad una mensa di un Ministero o di una grande Azienda che si riforniscano da un'impresa che assuma disabili.

Il sistema sarebbe win-win, assicurando all’impresa sociale, non tanto un’agevolazione fiscale (che a me ha sempre suonato come una gentile concessione dall’Alto) quanto piuttosto un aumento delle proprie quote di mercato.

Ministero e Impresa for profit ne beneficerebbero rispettivamente in termini di minore spesa per il sociale e di aumento della propria credibilità e immagine aziendale.

Il tempo è galantuomo e si vedrà. Vi sono sempre più politici consapevoli e lungimiranti, in tal senso. Tra questi, vorrei ringraziare per l'attenzione e la sensibilità al tema: il sen. Eugenio Comincini.

Certamente, però, il tema deve assumere una sua trasversalità politica. È arrivato il momento di ripensare il nostro sistema di sviluppo in modo sostenibile ed inclusivo; di conciliare, per usare le parole della Von Der Leyen, il mercato con il sociale!


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