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Quella splendida location presa a prestito per raccontare d’altro…

di Vittorio Sammarco

D’accordo, non sarò io a fare lo snob arricciando il naso sul ritorno del grande cinema nelle piazze e nelle strade di Matera. Le riprese del remake di Ben Hur che stanno portando per circa un mese camere, comparse e cineoperatori nella città dei sassi non hanno molto in comune con l’idea di Capitale (se non la casuale, lettera C con cui cominciano le parole). Porteranno soldi e notorietà, si moltiplicherà il dibattito sulla bellezza del cinema nelle sue capacità comunicative e narrative, sulla grandezza della storia, su quanto si possa investire in turismo e in cultura rilanciando un tema forte come la storia romana; e sia.

Però, mi sia consentito di esprimere qualche dubbio, da amante non nativo di quei sassi e di quella storia che si portano dietro, fatta, soprattutto, di travaglio e di cura, di rapporto con la natura e di sofferenza, di paure e di comunità per difendersi, di invenzioni utili alla sopravvivenza (come il geniale sistema di raccolta e conservazione delle acque) e di opere d’arte per testimoniare un ricco patrimonio religioso (vedi le Chiese rupestri). Tutto ciò, nella classica location simil-romana non c’è e non può esserci. Per questo è importante la prudenza nel riflettere su questi grandi eventi (che fanno seguito al Gibson, della Passion, e al Pasolini del Vangelo secondo Matteo, in verità, questi, più discreto e rispettoso della comunità – e non solo della scenografia – che lo ha ospitato). E le interviste nel servizio del Tg1 delle 20 che ha dato il 6 febbraio scorso la notizia dello “sbarco” delle 2500 comparse per le prime riprese, in sincerità, mi sono apparse un po’ troppo entusiaste. Ma è il taglio dato al servizio della collega che vola sulla scia dell’esaltazione. Rischio che si corre, va bene, ma poi si finisce anche per dimenticare (nemmeno un cenno) la nomina di Capitale europea della cultura per il 2019.

C’è chi, invece,  a Matera ha aperto un dibattito coraggioso di ricerca e di riflessione su questo aspetto:

(si vedano a mo’ d’esempio questi tre freschi articoli sulle pagine dei quotidiani locali:  I sassi tra effetto e realtà

o anche questo Il ruolo dei sassi tra cinema e identità

oppure “Sedimenti”, di Sciannarella per capire il ruolo dei sassi –

senza assumere le pose da intellettuale pensoso che odia i fenomeni di massa; ma senza, neppure, limitarsi all’accettazione totale e incondizionata della logica del business e dei milioni che arrivano sulle bighe e sui carri, e che poi vanno via, inevitabilmente, ma non sedimentano, non producono cultura, non fruttificano. Anzi, tradiscono quello che è il senso vero e profondo della città che ospita gli eventi.

Non ho la pretesa di avere l’ultima parola, la più fondata. Anzi, sarebbe proprio opportuno aprire un confronto.


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