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Sempre più lavoratori stranieri. Come gestire la multiculturalità in azienda?

Una ricerca di Assolombarda e Adapt mette in luce i vantaggi e le sfide di un ambiente di lavoro dove collaborano persone con diversi background religiosi, culturali e sociali. «Tra le differenze da considerare – spiega Ilaria Fiore, ricercatrice Adapt - ci sono concezioni diverse del rapporto gerarchico; modalità decisionali che possono essere autonome o condivise; una diversa organizzazione del tempo; una differente gestione del rischio; una modalità diversa di esprimere i propri bisogni e esigenze sul posto di lavoro»

di Sabina Pignataro

Il lavoro è il motivo principale che spinge alla migrazione sia gli stranieri provenienti dai Paesi comunitari (nel 60,6% dei casi) che quelli non comunitari, (51,8%). Nel 2022 il numero delle attivazioni di rapporti di lavoro che hanno interessato cittadini stranieri è stato pari a 2.395.725 unità, di cui 611.200 hanno riguardato lavoratori comunitari (25,5% del totale) e 1.784.525 extracomunitari.  

Gestire un team multiculturale dove emergono esigenze e differenze generate dal background religioso, culturale e sociale della popolazione aziendale è un aspetto che offre numerosi vantaggi e possibilità di arricchimento. Ma pone il managment davanti a potenziali problematiche da governare per affrontare al meglio questa sfida e trasformarla in una vera e propria opportunità per il business, creando ambienti di lavoro rispettosi delle differenze e capaci di neutralizzare episodi di discriminazione.

Adapt e Assolombarda hanno presentato una ricerca con l’obiettivo di incrementare le conoscenze sul fenomeno della multiculturalità in azienda e di proporre azioni di policy per accompagnare un management sempre più attento. (Si scarica da qui)

«Tra le  differenze da considerare – spiega Ilaria Fiore, ricercatrice Adapt  – ci sono  concezioni diverse del rapporto gerarchico; modalità decisionali che possono essere autonome o condivise; una diversa organizzazione del tempo; una differente gestione del rischio; una modalità diversa di esprimere i propri bisogni e esigenze sul posto di lavoro».

Come valorizzare la diversità dei lavoratori nelle organizzazioni?

«Abbiamo identificato in primo luogo le sfide e le criticità emerse nel corso degli ultimi anni relativamente a profili quali l’organizzazione del lavoro, le mense aziendali, l’integrazione linguistica, la prevenzione e gestione dei conflitti», chiarisce Francesca Di Gioia, ricercatrice Adapt, «per poi approfondire le buone pratiche organizzative di inclusione messe in atto dalle imprese».

Gestire turni, mansioni, ferie e permessi

Accanto ai principali profili di impatto della diversità culturale sul mondo del lavoro, lo studio ha permesso di rilevare come tali differenze possano essere affrontate fornendo a tutti i lavoratori una cornice appropriata per interpretare i propri e altrui comportamenti. Di conseguenza, le attività di formazione sulla gestione e valorizzazione della diversità sono uno strumento attraverso cui intervenire sul clima organizzativo dell’azienda oltre che essere una misura necessaria per affrontare situazioni di conflitto e incomunicabilità tra culture. Alcune differenze culturali, inoltre, possono generare un impatto sull’organizzazione del lavoro, ad esempio sui turni, sulle mansioni, su ferie e permessi.

«Un management che sceglie di impegnarsi a sviluppare metodi e strumenti per gestire la multiculturalità deve riuscire a mediare tra le esigenze aziendali e quelle dei singoli lavoratori, al fine di trovare un accordo per far dialogare pratiche e valori diversi con i processi organizzativi, riuscendo persino a migliorare la produttività», chiarisce la ricercatrice. «Un’organizzazione più flessibile, in primis dell’orario lavorativo, può rivelarsi uno strumento efficace per gestire i casi in cui le tradizioni culturali dei lavoratori incidono sulla quotidianità dell’impresa».

Differenze religiose

I rappresentanti delle aziende segnalano, infine, che c’è un forte impatto delle tradizioni religiose sull’organizzazione del lavoro a partire dalle festività dei dipendenti stranieri che cadono in periodi dell’anno solitamente diversi da quelli in cui si festeggiano le ricorrenze religiose in Italia. Le celebrazioni legate ai calendari religiosi pongono, inoltre, un tema di abitudini alimentari soprattutto per i lavoratori che svolgono mansioni manuali e faticose. «Il tema delle festività legate ad altre culture può avere un impatto, per esempio, sui menù delle mense aziendali o sugli orari di erogazione dei pasti, pensiamo ad esempio ai vincoli imposti ai lavoratori musulmani dalle regole del periodo di Ramadan, un aspetto cruciale che non può essere sottovalutato in un contesto di multiculturalità crescente».

Il rispetto delle tradizioni religiose non può però essere relegato solo ad alcuni periodi dell’anno. «Si pensi ad esempio ai casi in cui un lavoratore ricopra un ruolo di rilievo all’interno della propria comunità religiosa, che costituisca un impegno anche durante l’orario di lavoro: «io mi trovo a dover gestire un dipendente che settimanalmente chiede di potersi assentare per espletare la propria funzione religiosa, questo naturalmente crea problemi organizzativi; allo stesso modo non è sempre facile adeguarsi alle esigenze orarie legate ai momenti di preghiera. Il fatto che a livello contrattuale queste esigenze non siano regolamentate complica la nostra organizzazione interna e ci costringe a procedere secondo il buon senso», spiega il rappresentante di una delle aziende coinvolte». 

Non deve  mancare formazione appropriata

Tali differenze possono essere affrontate fornendo a tutti i lavoratori una cornice appropriata per interpretare i propri e altrui comportamenti attraverso attività di formazione sulla gestione e valorizzazione della diversità. Si tratta di strumenti attraverso cui intervenire sul clima organizzativo dell’azienda e che rappresentano una misura necessaria per affrontare situazioni di conflitto e presunta incomunicabilità tra culture.

Multiculturalità come opportunità, non come ripiego

Secondo quanto sostenuto dalle aziende coinvolte inoltre, operare in un assetto multiculturale può rappresentare una opportunità di crescita per le aziende stesse, a patto che esse non si limitino a gestire la presenza di una popolazione lavorativa multiculturale come conseguenza ineluttabile di un contesto sociale in continuo mutamento, ma si mostrino sempre più interessate alla ricerca di risorse straniere, da perseguire anche valorizzando la cooperazione con i partner esteri.

Quanti sono i lavoratori stranieri?

Nel 2022 il numero delle attivazioni di rapporti di lavoro che hanno interessato cittadini stranieri è stato pari a 2.395.725 unità, di cui 611.200 hanno riguardato lavoratori comunitari (25,5% del totale) e 1.784.525 extracomunitari.
Genere
La ripresa della domanda ha avuto un impatto maggiore sulla componente femminile della forza lavoro sia italiana che straniera: nel caso delle donne provenienti da territori Non UE è stata registrata una variazione positiva del numero dei rapporti di lavoro attivati pari al 20,2% e pari al 6,4% nel caso delle donne provenienti da Paesi UE.
La componente maschile extracomunitaria si è posizionata ad un +12,6% e quella comunitaria ad un +5,2%.
Età
Rispetto all’età dei cittadini stranieri, i più anziani (da 55 a 64 anni e 65 anni ed oltre) mostrano i trend di crescita più rilevanti.
Settori
Guardando nel dettaglio ai settori, il comparto nel quale è stata rilevata la più alta concentrazione di attivazioni per i lavoratori stranieri è l’Agricoltura (39,2%) cui seguono, nell’ordine, Costruzioni (30,1%), Industria in senso stretto (22,1%), Altre attività nei Servizi (14,7%) e Commercio e riparazioni (13,1% del totale). Infine, a livello territoriale, la crescita delle assunzioni di lavoratori comunitari ha riguardato il Nord Ovest (+13,9%), il Centro (+7,4%) e il Nord Est (+5,7%); di contro una contrazione ha riguardato il Mezzogiorno (-2,2%). Il numero delle contrattualizzazioni dei cittadini non comunitari è in aumento in tutte le aree territoriali, con gli incrementi maggiori nel Nord Ovest (18,9%) e nel Centro (18,1%) (fonte: Ministero del Lavoro, 2023).

Foto in apertura, christina-wocintechchat by unsplash


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