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Media, Arte, Cultura

Speciale cinema di Cannes

Belli, intensi e premiati: quest’anno il Festival sceglie l’impegno. Le pellicole da non perdere

di Antonio Autieri

È stata un?ottima edizione del festival di Cannes. Anche gli incontentabili devono ammettere che sono stati presentati tanti film importanti e ?necessari? e, per una volta, in gran parte premiati. La Palma d?oro a Roman Polanski per Il pianista, per esempio, non è solo l?ennesimo film sull?Olocausto, ma un?impressionante discesa nell?orrore. Senza toni melodrammatici, ma anzi con una sobrietà che rischia di essere scambiata per freddezza (impossibile: la madre di Polanski è morta ad Auschwitz), il regista di origine polacca racconta la storia del connazionale Wladislaw Szpilman: un pianista che sfuggì alle retate nel ghetto di Varsavia e sopravvisse tra nascondigli e aiuti insperati di generosi ariani e perfino di un ufficiale nazista. Una storia di resistenza e indomabilità al male: le immagini dell?ebreo solo nel ghetto e tenacemente attaccato alla vita rimangono impresse. Il secondo posto, il Gran premio della giuria, è stato invece assegnato ad Aki Kaurismaki per L?uomo senza passato. Il maestro finlandese impagina una toccante storia di un uomo che perde la memoria dopo un?aggressione. Verrà adottato da una famiglia di emarginati e si innamorerà di una volontaria dedita ai barboni: l?amore gli ridà fiducia e dignità. Ancor più forti sono altri film finiti nel palmarès. A cominciare da Le fils (Il figlio) di quei fratelli Dardenne che tre anni fa vinsero con Rosetta. Ancora una volta parlano di lavoro: c?è un?attenzione rara alla manualità, nell?osservare i gesti di un carpentiere e dei suoi allievi. Ma poi c?è un altro tema che pian piano prende il sopravvento nella vicenda del protagonista (l?attore Olivier Gourmet, sconosciuto e bravissimo premio per il miglior interprete): il dilemma sulla vendetta. Perché a un certo punto nell?officina arriva il giovane assassino del figlio: e il film diventa un thriller dell?anima dai risvolti psicologici strazianti. Per la regia è stato premiato l?emergente director americano Paul Thomas Anderson, di culto dopo Boogie Nights e Magnolia. In Punch Drunk Love racconta le gesta di Barry, uomo pieno di manie e a disagio con la vita, goffo ma preda di scatti d?ira soprattutto a causa di sette sorelle asfissianti. Una commedia terribilmente seria nel raccontare un ?inetto? che soffre la sua condizione e che, miracolosamente, trova in una donna la sua salvezza. Ma questo è dir poco, di fronte a uno stile originale e frizzante, spiritosamente drammatico e pieno di trovate poetiche. Il premio alla sceneggiatura è toccato a Paul Laverty per Sweet sixteen, nuovo film di Ken Loach che torna a osservare i bassifondi scozzesi: protagonista è un adolescente che cerca di salvare la madre, drogata e in prigione. Ma la storia di un singolo, per Loach, è sempre il modo per parlare della classe proletaria, tra disagio e criminalità. Non meno giusto il premio speciale della giuria per Intervention Divine: primo film di un regista palestinese, Elia Suleiman, a Cannes, è una sulfurea descrizione della vita sotto l?occupazione israeliana. Strano a dirsi, è quasi un film comico, che usa il grottesco per mostrare la follia della violenza. Ma la vera rivelazione è stato il film-documentario A Bowling for Columbine, con il quale il regista Micheal Moore ha portato a casa un meritato premio per il 55° anniversario del festival. Moore, partendo da una famosa strage avvenuta nel liceo di Columbine, mette sotto accusa la vendita libera di armi negli Usa, che ha fatto parecchie vittime tra gli adolescenti. Ne esce male chi difende questo sistema di violenza: come la potente lobby delle armi Nra sostenuta dall?attore Charlton Heston (che fa una pessima figura). Non ci sono, però, solo i vincitori. Tra chi è rimasto a bocca asciutta citiamo almeno tre film: Kedma, dell?israeliano pacifista Amos Gitai, rievoca la nascita della sua nazione e dalla guerra con i Paesi arabi nel 1948: il ritorno degli ebrei in patria, dopo l?Olocausto, ha i colori della tragedia passata (i superstiti ne sono marchiati) ma anche di quelle future. La pace lì sembra un?utopia. All or nothing di Mike Leigh ci parla di lavoratori alle prese con miseria e disperazione: una coppia, tassista lui, cameriera lei, scoprono di amarsi di nuovo dopo un attacco cardiaco del figlio. Spider di David Cronenberg, infine, è una non convenzionale esplorazione della follia umana. Ma scordatevi Beautiful Mind: qui l?abisso è senza ritorno. Fra i film fuori concorso, non si può non citare Ararat di Atom Egoyan, regista di origini armene che racconta il massacro del suo popolo da parte dei turchi, nel 1915. Come potrebbe passare alla storia, anche se in misura diversa, quello che successe a luglio a Genova, durante il G8. Ne parlano due documentari che hanno fatto scalpore: Bella Ciao e Carlo Giuliani, ragazzo: in quest?ultimo, Francesca Comencini dà voce alla madre del ragazzo ucciso, confezionando un ricordo che ha commosso tutti.


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